LAMPEDUSA
TRECENTOTRENTA
metri calpestabili, stile anni ’70, realizzata da un nobile palermitano, 10-12 posti letto, in alta stagione affittata a 3.500 euro a settimana. La casa lampedusana di Silvio Berlusconi, Villa due Palme di Cala Francese, era in vendita fino a 48 ore fa a un milione e mezzo su internet. Nei colori bianco e blu, ha una cucina, un living con camino, due stanze da letto e un bagno al piano giardino, una stanza da letto più grande, terrazzo e bagno al piano di sopra. Dalle prime ore della mattina di ieri Antonio, il custode, ci ha lavorato perché sapeva che «doveva venirla a vedere un avvocato». È ovvio che quando ha visto arrivare Berlusconi, il corteo presidenziale, fotografi e cineoperatori è sbiancato. «Farò tutto intorno dei sentieri di ciottoli secondo lo stile di Positano, resterà semplice e mediterranea» avrebbe detto il premier dopo il sopralluogo di un quarto d’ora.

«LA VILLA

confina con casa mia» dice felice Angelo Palmisano, 65 anni, falegname, che racconta di quella strana leggenda che avvolge di mistero la casa. Leggenda che ha dato il nome all’insenatura dove è stata costruita, Cala Francese. «In questa cala arrivò una nave francese con un tesoro che fu seppellito in un’anfora d’oro dove sorge la villa, prima di subire l’assalto dei pirati» spiega il falegname. «Si racconta che a difendere il segreto del tesoro fosse uno spirito dispettoso, una monachella come la chiamiamo in Sicilia. La leggenda dice che soltanto chi immolerà una vergine riuscirà ad accedere al segreto del tesoro».

ROSINA

Licciardi, 61 anni, che confina sul lato opposto rispetto alla proprietà del falegname, conosce anche un’altra storia, legata alla sua famiglia. Dal 1926 al 1943 Lampedusa era colonia di confino dove venivano inviati i confinati politici ritenuti dal fascismo più pericolosi. «Il terreno su cui è costruito l’aeroporto _ che sorge alle spalle di Villa due Palme _ era di mio padre Antonino, ma ci lavoravano i confinati», dice la signora Licciardi. «Durante la guerra la mia famiglia lo affittò allo Stato per l’aeroporto militare, ma ci pagarono solo una rata. Il papà rifiutò i 5 milioni che gli offrirono quando fecero l’aeroporto civile perché diceva che mi avrebbe fatto la dote con i soldi che lo Stato gli doveva... Un altro fratello di mio padre Carmelo, emigrò a Tripoli, poi quando Gheddafi cacciò tutti gli italiani, finì in Francia. A parti invertite, sembra la storia di oggi».
Lorenzo Sani