Viviana Ponchia
TORINO
ALL’INIZIO

anche di Chiamparino dicevano che non sapeva sorridere. Troppo simile all’omonimo Endrigo, troppo loden, troppo torinese. Così Piero Fassino: non sorride nemmeno nell’ora del trionfo, come se anziché il consenso di metà Torino gli fosse caduta in testa la casa. Ma deve essere euforia il lampo in fondo agli occhi. E senso di rispetto quel curvare le spalle verso un microfono sempre troppo basso. Sulla commozione non si discute: accarezza il nome della moglie Anna, racconta il senso della telefonata con il compagno Pisapia che da Milano, lui sì, se la ride.

AI TORINESI

piace così. Un po’ lugubre. Con un caratteraccio che conduce a leggendarie sfuriate e rapide riconciliazioni. Maniaco dei dettagli: lavastoviglie caricata con precisione balistica, valigia costruita a strati. Ordinato, noioso no. Per non perdere mai un aereo, figurarsi i treni che passano una volta sola. Per tornare a casa da numero uno e mandare a casa i ragazzini. L’avventura imbastita con umiltà a gennaio si conclude in questa strana apoteosi sincopata: ipnotico accento local come quello di chi lascia, la terribile bellezza della responsabilità.

DA CHIAMPARINO

a Fassino senza incertezze, in rima con Torino, con un pieno di voti che sfiora il 57%. La vittoria del centrosinistra è repentina e schiacciante, il sogno del centrodestra di riprendersi la città dopo 18 anni si incrina già sugli intention poll, va in pezzi con le prime proiezioni. Alle quattro del pomeriggio un’euforica Livia Turco festeggia «l’inizio della riscossa di questo paese», mentre Enzo Ghigo incassa la sconfitta riconfermando la scelta del giovane Michele Coppola, fermo al 27%. Lega in città inchiodata tra il 6 e il 7 per cento. Il segretario regionale Cota: «Torino per noi è una realtà difficile, lo sapevamo. Comunque, onore al merito a Fassino». Esultano invece i grillini, che arrivano al 5,3%, più del Terzo Polo. Ma la città in piena metamorfosi postfordista non si lascia distrarre dalla ressa dei 12 candidati e si affida all’esperienza del figliol prodigo, che almeno nei manifesti elettorali due risate con Sergio è riuscito a farsele, e ha portato bene. Il grissino, la “filura”. Adesso dicano quello che vogliono, anche che le liste farlocche hanno rosicchiato punti al povero Coppola. Piero Fassino – 61 anni, 192 centimetri, 65 chili – giura che renderà tutto ancora più bello e europeo e molto prima dei risultati definitivi scatena una pioggia di grazie: su Anna, il Pd e gli altri sette partiti della coalizione, Michele che ha perso con onore, Sergio che ha ridato orgoglio ai torinesi e a lui sostegno fraterno. E poi riversa gratitudine su Vendola, Prodi, Bersani e Ciampi, Rosy Bindi in Cina, Pisapia che ha appena messo giù il suo jolly. Amante dei musical, ballerino. Lo sanno i torinesì? Se lo immaginano il loro sindaco nei casquet? La prima fotografia è solenne, da laurea o da prima comunione: «Da domani mi metterò al lavoro per definire il futuro di Torino e dare ai torinesi una guida autorevole all’altezza delle aspettative».

MA C’È L’EREDITÀ

«bella e importante» di Chiamparino, «un grande sindaco che ha fatto di Torino un’esplosione di forza e vitalità». Tolto il loden si è messo in calzoncini per correre le maratone e non si è più fermato: le Olimpiadi, l’invasione degli alpini. Chissà che sorprese prepara un ex segretario del Pci oggi a cena con Marella Agnelli, Marchionne e i banchieri. Da Roma il nuovo sindaco ha avuto modo di prendere nota della fatica della trasformazione: «Per cento anni Torino è stata una città con una sola vocazione. La Fiat era il motore, era tutto. Ha funzionato per un secolo, poi il motore si è inceppato. Dieci anni di sofferenza, il declino. Ma come sempre nel declino c’è il vecchio che muore e il nuovo che nasce». Da Torino a Roma e viceversa, pare che Chiamparino stia per fare le valigie. Bersani lo aveva promesso: «Ho una proposta anche per lui».