Alessandro Farruggia
ROMA
E ALLA FINE

ha fatto marcia indietro: «Per sgombrare il campo da ogni polemica ho dato disposizione che questa norma giusta e doverosa sia ritirata». A metà pomeriggio Silvio Berlusconi cede e abbandona quelle sei righe introdotte da una misteriosa manina a pagina 110 della manovra. Una mossa dirompente che grazie alla modifica di due articoli (283 e 373) del codice di procedura civile, avrebbero obbligato la magistratura a sospendere l’esecuzione delle maxi condanne civili. E che in caso di conferma della sentenza di primo grado nel processo sul lodo Mondadori l’avrebbe salvato, evitandogli il pagamento immediato di 750 milioni di euro a De Benedetti (fino a sentenza definitiva della Cassazione). Ma la tempesta che s’è abbattuta su Roma in mattina era nulla rispetto a quel che han scatenato quelle sei righe. Un uragano politico, che ha portato all’inevitabile dietrofront. «Nell’ambito della cosiddetta manovra — spiegava alle 17 una nota di palazzo Chigi — è stata introdotta una norma per evitare attraverso il rilascio di una fidejussione bancaria il pagamento di enormi somme a seguito di sentenze non ancora definitive. In un momento di crisi una sentenza sbagliata può infatti creare gravissimi problemi alle imprese e a ai cittadini».

«LE OPPOSIZIONI

— rincarava la dose il Premier — hanno creato una vergognosa montatura prospettando che tale norma avrebbe trovato applicazione nella vertenza Cir-Fininvest dando così per scontato che la corte d’appello di Milano condannerà la Fininvest ad una somma addirittura superiore al valore di borsa delle quote di Mondadori possedute da Finivest». «Conoscendo la vicenda — diceva Berlusconi — ritengo di poter escludere che ciò possa accadere e anzi sono certo che la Corte d’Appello non potrà che annullare un sentenza di primo grado assolutamente infondata e profondamente ingiusta». Ma, pur convinto che il tentativo di disinnescare la bomba era opportuno, Berlusconi infine mollava: «Per evitare polemiche, ho dato disposizione che sia ritirata». Amen.

A INCIDERE

sulla decisione, l’orientamento del Colle che — grazie ai consueti assidui contatti tra Gianni Letta e il Colle — era ben chiaro: pollice verso. Ma anche l’irritazione vivissima della Lega, che con sconcerto ha appreso solo lunedì del blitz e che ieri in via Bellerio s’è riunita e ha trovato Bossi, Maroni e Calderoli («non ho visto nè approvato la norma») uniti nel prenderne le distanze e definirla assolutamente inopportuna. A difendere a spada tratta era sceso il solo Sacconi mentre persino Tremonti — che è uno dei pochi che sapeva — si era detto contrarissimo, e in mattinata aveva annullato la conferenza stampa di presentazione della manovra. Un modo per non essere costretto a coprire una norma che non condivideva e che confidava fosse ritirata. E infatti. Lo stesso Guardasigilli Angelino Alfano si era detto all’oscuro della modifica. A pesare c’erano poi il ‘no’ del Csm e il fronte compatto delle opposizioni che l’aveva definita «una norma vergognosa, che fa scandalo» e ora può esultare.
«La norma prima inserita a sorpresa nella manovra e poi ritirata — osserva il leader dell’Udc, Casini — è la prova di un balletto indecoroso, un tentativo figlio di pressappochismo e arroganza». «Berlusconi — dice il segretario del Pd, Bersani — ci ha provato, ma noi apriamo sempre bene gli occhi perché sappiamo con chi abbiamo a che fare. E così con una mobilutazione civile l’abbiamo costretto a una marcia indietro inevitabile». «Era un atto immorale e incostitizionale — attacca Di Pietro — per il quale, viste le dichiarazioni di Calderoli che afferma che la norma inviata al Colle è diversa da quella approvata dal Cdm, dovrebbe ora indagare la procura, perchè qualcuno ha falsificato un atto». Anche troppo. La verità è che il tentativo era troppo pesante ed è franato su se stesso. E ora, parola alla Corte d’Appello.