Alberto Pierini
AREZZO
IL GIGANTE

li ha abbandonati un’altra volta. Non per mezza giornata, com’era successo a fine aprile per un principio d’incendio nella web farm dell’azienda, ma per qualche ora sì. Clicchi e non vai su Internet, provi ad aprire un sito e quello resiste, tenti un’operazione e resti a bocca asciutta. E’ il black out di Aruba. Un gigante, niente da dire, anche se qualcuno grida al gigante dai piedi di cristallo.
Il più grande provider italiano, da solo gestisce più di un milione e mezzo di siti in hosting e di domini registrati. Uno snodo dal quale la comunicazione passa come l’acqua da un rubinetto. Ma quando si intasa sono guai. E ieri il web è impazzito. Cade una piuma ad Arezzo, la città che ospita la sede centrale di Aruba, quasi invisibile tra le pieghe della zona industriale, e mezzo mondo prende il raffreddore.
E per cause che ancora sembrano inafferrabili. Mentre infatti l’azienda ad aprile aveva subito spiegato al suo mondo di quel principio d’incendio, stavolta è il silenzio. Se non una traccia. Un messaggio che appare nell’area assistenza del suo sito.
«È previsto un intervento di aggiornamento che potrebbe determinare l’irraggiungibilità dei siti Aruba e momentanee interruzioni della disponibilità dei pannellidi controllo relativi ai vari esercizi».
Quando? Nella notte tra il 6 e il 7 luglio. Però ieri mattina, quando il black out ha preso corpo e l’«acqua» si è intasata, era l’otto. Tutto si spiega risalendo all’origine di quel filo? Un altro comunicato conferma «aggiornamento terminato». Ma non è datato e non basta da solo a sciogliere il giallo. Ieri dall’azienda silenzio. Forse perché già alle 14 tutto era tornato a posto. Però silenzio.
Impossibile mettersi in contatto per capire cosa sia successo. E sul sito solo quella traccia, chiusa dalle scuse per gli eventuali disagi che si sarebbero potuti verificare. L’ipotesi prevalente è che si sia trattato di un intervento di manutenzione. Ma è solo un’ipotesi. Mentre la certezza è che nell’attesa il web ha fatto il resto.
Hanno cominciato i socialnetwork: Facebook ma, soprattutto Twitter a fare da passaparola. Un tam tam virtuale, incessante come un concerto di Tullio De Piscopo. Ritmo ma soprattutto proteste. Proteste per i disagi. Ma forse soprattutto proteste per il silenzio: Internet non sopporta di non sapere tutto. Vuole informazioni, maledette e subito. E se non le ha si arrabbia. E con Internet le associazioni dei cosumatori, tornate all’attacco: Adoc in testa, ventilando richieste di danni, addirittura vere e proprie





class action, il nuovo grido delle azioni sindacali di gruppo. Il Codacons, dalla sua, «avvia le procedure per chiedere il risarcimento per tutti i clienti danneggiati».
Ad aprile l’azienda aveva giocato d’anticipo, disponendo degli sconti per rimediare al danno subito. È possibile, vista che questa è in genere la sua linea, che possa fare lo stesso anche stavolta: ma nell’incertezza gli utenti si arrabbiano.

E SONO TANTI


: perché al milione e mezzo di siti web si aggiungono 5 milioni di mail gestite.
Per un’impresa che è passata da un fatturato di 55 milioni a 100 in soli dodici mesi. Quasi uno schiaffo a chi ancora galleggia nella crisi. Il gigante è un gigante davvero. Dai piedi forti: anche se a volte si incrinano, proprio come quelli di cristallo.