Cairo
«UNA CABINA
di regia unica? Dietro ai fatti del Cairo io vedo molti attori intenti a saltare su un solo treno, quello dell’odio per Israele. Non sono solo Fratelli Musulmani, ma anche salafiti e perfino vecchi nazionalisti nasseriani». Eli Karmon è il decano dell’ Istituto di politica internazionale di antiterrorismo a Herzliya, nell’area metropolitana di Tel Aviv. Il raid sanguinoso contro la sede diplomatica del suo Paese nella capitale egiziana secondo lui ha molti padri e tradisce debolezze e idiosincrasie antiche. «Storicamente le élite delle associazioni dei giornalisti, dei medici, degli avvocati hanno attaccato sempre chi voleva normalizzare i rapporti con Israele, arrivando perfino all’attentato contro un famoso scrittore. L’obiettivo è la cancellazione del trattato di pace con Gerusalemme».
Qual è il ruolo della giunta militare egiziana?
«I suoi critici sostengono che non è cambiato molto, che ha usato i tribunali militari contro elementi considerati pericolosi e contro i giornalisti. Il fronte contrario agli accordi con Israele è molto ampio. Non comprende solo gli islamisti, ma anche nasseriani residui e perfino alcuni liberali».
Il recente e mortale raid partito dal Sinai ha surriscaldato i rapporti già tesi con il suo Paese.
«La polizia e i militari del Cairo non controllano il territorio della Penisola. Gli attentati del 2004 e del 2005 hanno scatenato una lotta con i beduini. Sono state arrestate 2.000 persone, ma le autorità centrali del Cairo non sono riuscite a venirne a capo. Questo accadeva con Mubarak, figuriamoci ora. È successo perfino che 200 persone abbiano attaccato le stazioni della polizia. Abbiamo assistito a molte stranezze».
Per esempio?
«Sono state necessarie sette ore per soccorrere i sei ufficiali della sicurezza rimasti chiusi nell’ambasciata di Israele. C’è stato un intervento americano molto forte e deciso perché venissero liberati».
Oggi ricorre il decimo anniversario degli attentati di Washington e delle Torri Gemelle. Vede una connessione?
«Io vedo prevalente la motivazione interna egiziana. Si vuole provocare la giunta militare anche perché non si conosce ancora la data delle elezioni per il Parlamento».
La lotta contro Israele può essere usata come collante da tutti quelli che si oppongono alla giunta militare.
«Che non sarebbe poi così decisa a mollare il timone del Paese. Ci sono state trattative, per il momento forse fallite, per riconoscerle nella nuova Costituzione uno status simile a quello goduto in passato dai militari turchi, che la vecchia Carta fondamentale di Istanbul collocava al di sopra del presidente e del Parlamento».
Erdogan sta per arrivare al Cairo. È pessimista sul futuro?
«La Turchia è in crisi con l’Unione Europea e con la Nato ed è arrivata a minacciare l’uso delle sue forze navali contro le prospezioni petrolifere di Cipro e di Israele. Il gas egiziano non ci arriva più. Sono riprese solo le forniture destinate alla Giordania che lo paga il triplo di quello che costava a Israele».












Lorenzo Bianchi