Ugo Bonasi
ROMA
NON C’È

solo qualche sintomo di insofferenza giovanile, «ma sono al lavoro nuclei organizzati che operano clandestinamente per trasformare il disagio in rivolta». Maurizio Sacconi, a poche ore dal suo allarme, precisa che in Italia «non esiste ancora un movimento eversivo» che possa produrre fenomeni come quelli degli anni Settanta, anche perché la crisi delle ideologie ha tolto «progettualità rivoluzionarie». Ma esistono «spinte ribellistiche di non sottovalutabile potenzialità eversiva», come i disordini di ottobre a Roma hanno dimostrato.

SONO

la coda di un’antica «patologia politica» anche se l’Italia «non vive una condizione di guerra civile». Il suo osservatorio, con il monitoragggio del disagio occupazionale, giovanile e non, consente al ministro Sacconi di cogliere frustrazione e rabbia che fuori dal Palazzo erano già avvertite. Ma il sottosegretario all’Interno, Alfredo mantovano, ridimensiona un po’ l’allarme: «Non c’è un allarme specifico sulla riorganizzazione del terrorismo» anche se «la parole di Sacconi sono fondate».
Ma il titolare del Lavoro vuole ricordare che la «dialettica da guerra civile» tra le forze politiche, i concetti forti «semplificati e amplificati», creano una camera di incubazione, quell’assassinio mediatico che dalle parole può in breve tradursi in azioni violente. Sacconi rammenta che l’uccisione di Marco Biagi fu opera di solo una decina di terroristi (gente comune), non di quella macchina da guerra che furono le Brigate Rosse degli anni Settanta. Gli assassini agirono contro un uomo, ricorda il ministro, che «anche voci non rivoluzionarie descrivevano come un nemico dei lavoratori». Sacconi è convinto che il terrorismo non nasca solo da intellettuali, ma dalle «pulsioni che diventano irrefrenabili quando la dialettica politica da strada diventa linea politica». Gente non venuta da Marte, ma «allevata nelle nostre scuole, università, case, con molta tolleranza politica, culturale, istituzionale».

NEL MIRINO


di potenziali terroristi ci sarebbero gli uomini delle Istituzioni senza scorta per i quali, assicura, è attivo il lavoro di intelligence. Sacconi è convinto che il dissenso sia necessario perché è il «sale della democrazia», ma serve il rispetto dell’avversario che lo rende «ancor più efficace e convincente».
La doppia uscita di Sacconi fa infuriare l’opposizione. Nel Pd e nell’Idv sono convinti sia una strategia per distogliere l’attenzione dai dati sulla disoccupazione e sull’inflazione che cresce. Butta benzina sul fuoco, l’accusano, e tutti chiedono che Maroni riferisca in Parlamento sull’allarme. Olga D’Antona (Pd), vedova del giuslavorista ucciso dalle Br, è d’accordo sull’analisi del ministro ma lo invita a «non evocare il terrorismo». Se Sacconi sa, parli, è la richiesta dell’Udc Cesa. La stessa di Gianfranco Fini («Spieghi le sue gravi parole») . L’ex leader Cgil, Cofferati, ricorda invece quando Sacconi nel 2002 lo indicò come mandante morale dell’omicidio Biagi per poi ritrattare.