Massimo Pandolfi
Mario Melazzini (
foto Torres), lei nel maggio del 2003 andò a bussare alla porta di una clinica svizzera...
«Sì, mi avevano diagnosticato la Sla. Volevo morire. Io, medico, affermato, giovane, con una bella famiglia, stavo perdendo tutto. Mi aspettava un futuro in carrozzina, forse senza più la parola, alimentato con una peg. Una vita piena di stenti, che ritenevo inutile».
E scrisse alla clinica Dignitas.
«Mi risposero spiegandomi tutto. Telefonai, mi sembrava assurdo che per suicidarsi bastasse un’email».
E la telefonata come andò?
«Surreale. Era come se parlassi con un funzionario di un ministero. Mi sono sentito un pacco postale e mi sono fermato. Sono rinsavito in tempo».
E ora lei è diventato un paladino della vita...
«Sono stato disperato e ai disperati dico: anche con la malattia, la sofferenza e il dolore (fisico o psicologico) si può vivere. Non è masochismo. La Sla mi insegna a vivere, ad amare».
Cosa ha provato quando ha saputo della notizia del suicidio di Lucio Magri?
«Tristezza, delusione. E ogni volta mi scandalizzo al solo pensiero che ci possano essere medici disponibili ad agevolare la fine di una vita. È disumano. Il loro compito, il nostro compito, è la tutela della vita».
Ma se uno non ce la fa più? Qualcuno la chiama libertà di decidere...
«Qui c’è una cultura da cambiare. Non bisogna dire a una persona: devi vivere per forza».
A Lucio Magri cosa bisognava dire?
«Bisognava accompagnarlo, testimoniandogli che con il dolore, in questo caso psicologico, si può vivere».
Ogni mese tre italiani vanno in Svizzera per morire. Cosa direbbe ai prossimi tre che si preparano per dicembre?














«Mi rivolgo ai familiari, agli amici: siete sicuri di aver fatto tutto per cercare di garantire una risposta ai bisogni di questi disperati? Spesso il desiderio di morte non è altro che una domanda d’aiuto».
E cosa replica a chi vorrebbe istituzionalizzare in Italia il sucidio assistito?
«Comincino a farsi un giro in quelle strutture — ce ne sono tantissime — dove esiste sofferenza e dolore, sì, ma anche un mare di voglia di vivere. È qualcosa di vero, carnale: si tocca con mano. Sta lì la risposta alle loro teorie».