di Lorenzo Sani
Bologna, 5 marzo 2012 - La potenza eversiva dell’amore nelle parole pronunciate tra le lacrime da Marco Alemanno, il giovane compagno di Lucio Dalla, quella cristallina dichiarazione di un sentimento che supera ipocrisie e perbenismi, parte dal luogo di culto simbolico di Bologna, la basilica di San Petronio, e si libera nel cielo sopra Piazza Grande con la traiettoria sfuggente delle rondini.

Alemanno ha letto il testo di una vecchia canzone di Dalla, ‘Le Rondini’ appunto, datata 1990. Poi, con lo stesso tono di voce, si è aperto come un libro parafrasando il brano: «Avevo solo dieci anni, anche io sognavo di poter entrare dentro i fili di una radio e volare sopra i tetti delle città e con la polvere dei sogni volare, volare al fresco delle stelle. Da diverso tempo ormai ho il piacere, l’onore e il privilegio di crescere al fianco di Lucio, il cantante, il musicista, il regista ma soprattutto l’uomo eterno bambino. Torno a chiudere gli occhi e mi perdo di nuovo come tanti anni fa nel mare e nel cielo dei sogni, solo che oggi, a differenza di allora, conosco benissimo quel signore che canta, oggi posso spiegargli che cosa mi ha dato e continua darmi. Grazie Lucio».

E’ «l'insostenibile leggerezza dell’essere di Lucio» cui ha fatto riferimento in un passaggio dell’omelia il confessore del grande artista scomparso, padre Bernardo Boschi. «Bologna ha perso un figlio vero, un grande amico, l’amico di tutti». Da San Petronio si leva un messaggio spiazzante, o semplicemente sfugge, laddove l’ultimo funerale celebrato, 16 anni fa, fu quello di don Giuseppe Dossetti. Ma non era domenica, non era tempo di Quaresima: non sono dettagli per chi sa leggere in filigrana e sonda il rigore della Chiesa su certi temi civili. Ci sono assenze, in momenti simili, che spiegano i punti di vista e l’assenza di maggior peso è stata indubbiamente quella del vescovo Caffarra, che ha delegato alla celebrazione del rito funebre il provicario generale Gabriele Cavina, numero tre dell’arcidiocesi bolognese.

 La Chiesa condanna l’omosessualità, non gli omosessuali e Lucio Dalla era profondamente credente, ma di fronte all’evidenza dei sentimenti si è scelto di girarsi dall’altra parte e presentare Alemanno come «amico e collaboratore» del grande cantautore. Eppure quella poesia sussurrata dal giovane poco prima che la bara fosse portata a spalla verso la Certosa, quell’atto di amore sfumato nella prosa e tornato ad essere di nuovo poesia, quella struggente, eversiva emozione che ha sedotto 50 mila persone. La gente in piazza si è stretta al culmine del lungo addio al suo Dalla, ha vibrato con orgoglio per la purezza del sentimento e l’ha celebrato in un rito collettivo. Tanti Anna e Marco si sono abbracciati, padri e madri hanno stretto i figli che tenevano per mano, tante Anna hanno abbracciato altre Anna, tanti Marco, altri Marco.

Non c'è mai stato il rischio che i funerali degenerassero nella spettacolarizzazione per le numerosissime celebrità che hanno reso omaggio all’artista. Tutti hanno vissuto un momento intimo. «Lucio attingeva dalla profondità, aveva sete di Dio, per questo trasmetteva gioia e serenità» ha ricordato padre Boschi, raccontando il suo Dalla dall’infanzia («quando in piazza Cavour festeggiavamo con la mamma il tuo compleanno»), al drammatico commiato: «Certo ci ha lasciati in un modo impensato, inedito. Certo questo tonfo direi quasi crudele, vero Marco...». E in quel richiamo sussurrato al compagno affranto, nel primo banco della cattedrale, non c’era ipocrisia, ma una leggera, affettuosa carezza.