PARIGI, 23 marzo 2012 - È MORTO con un colpo in testa, mentre cercava di scappare dopo essersi lanciato dal balcone, lasciandosi alle spalle l’inferno di una sparatoria degna di un videogame, convinto — come aveva annunciato durante le oltre trenta ore di trattativa con le teste di cuoio della polizia — di andare in Paradiso: «Se tocca a me morire andrò in Paradiso, se tocca a voi pazienza». Il paradiso di Al Qaeda.
Le ultime sequenze della vita di Mohamed Merah sono da brivido: il killer di Tolosa si è rintanato nel suo appartamento al primo piano. Ha una quantità di armi sparse dappertutto, le ha messe anche in balcone: una Colt 45 e una calibro 9, un kalashnikov e una pistola mitragliatrice — forse una Uzi israeliana — granate, molotov, sacchi di caricatori. Indossa un giubbotto antiproiettile sotto la jellaba nera. Non dorme da 32 ore. Sa che l’intero quartiere è chiuso in una morsa da 300 poliziotti d’élite. Due teste di cuoio sono proprio dietro la sua porta: ha parlato a lungo con loro, ha descritto i viaggi in Pakistan e in Afghanistan, ha ammesso di essere il responsabile delle stragi di Tolosa, ha promesso di arrendersi. Poi ha cambiato idea: «Morirò con le armi in pugno».

DI COLPO, dalle 23 di mercoledì notte, Mohamed si chiude nel silenzio: non si muove, non risponde al walkie-talkie che gli è stato dato per la trattativa, non dà segno di vita. Allora, nella speranza di stanarlo, i responsabili delle truppe speciali provocano una serie di fortissime esplosioni che fanno saltare in aria i vetri delle finestre e le imposte di tutto l’edificio. La luce, il gas e l’acqua sono stati tagliati. Lui non replica. Verso le cinque del mattino si sentono echeggiare due colpi di arma da fuoco dentro l’appartamento. Poi ancora silenzio. È una trappola: il killer vuole far credere di essersi suicidato per fare strage dei poliziotti quando daranno l’assalto. Passano altre ore di enorme tensione: Nicolas Sarkozy ha chiesto che il terrorista sia catturato vivo, ma bisognerà pure intervenire prima o poi, correre il rischio dello scontro, se non altro per verificare se Merah è morto davvero. Alle 10 gli uomini del Raid incominciano a prepararsi, alle 10,30 fanno esplodere delle granate a scopo intimidatorio, alle 11 fanno saltare la porta dell’appartamento e fanno irruzione, sparando e lanciando bombe accecanti e paralizzanti.

È UNA SCENA da western: ma dentro non trovano traccia di vita. Vanno avanti con cautela, centimetro per centimetro, continuando a sparare. Temono che il terrorista abbia piazzato esplosivo, delle mine, e per questo si fanno precedere da una piccola telecamera-robot che esplora gli ambienti. L’appartamento è piccolo, eppure ci vuole mezz’ora prima che arrivino davanti alla porta del bagno, l’unica stanza non ancora controllata. Merah è lì, in agguato. Li aspetta. Vuole che siano a tiro. Di colpo, appena si accorge della microcamera introdotta attraverso uno spiraglio, il killer spalanca la porta e balza fuori con due pistole mitragliatrici in pugno. Spara come un pazzo, le teste di cuoio rispondono: per cinque minuti è un inferno di fuoco (si conteranno 300 bossoli), una scena d’inaudita violenza. Ma non è ancora finita: con un balzo Merah riesce a farsi largo tra i poliziotti (ne ha feriti tre, uno gravemente) e a scavalcare il balcone, sempre sparando. Si lancia a terra, cerca di scappare. Non andrà lontano: un cecchino appostato sotto casa lo centra in piena testa.

LA POLIZIA ha trovato in una borsa le telecamera con cui il killer filmato tutti i massacri. Un gruppo legato ad Al Qaeda Maghreb ha emesso un comunicato in cui Mohamed viene definito «Youssef il Francese, cavaliere dell’Islam». Intanto nel mondo politico esplode la polemica sui servizi di sicurezza: Merah era noto e schedato, era di Tolosa, perché non si sono mossi lascianco che le stragi continuassero?

 

dall'inviato Giovanni Serafini