Milano, 8 aprile 2012 - Ora gli tocca nuotare controcorrente. Anche se, da Trota qual è, gli risulterà difficile. Dopo anni col vento in poppa, tra fuoriserie e pupe da reality, a dire di quelli che gli hanno spianato la strada a carico del partito-famiglia. La base è infuriata, i militanti leghisti ne chiedono la testa, persino il suo tutor in Regione Lombardia, il capogruppo Stefano Galli, arriva a parlare di «dimissioni da valutare». Sta già tramontando la stella di Renzo, primogenito della coppia Umberto Bossi-Manuela Marrone e designato alla successione del trono padano? Le carte dell’inchiesta sui tesori dissipati del Carroccio dipingono un ventenne guascone, sempre pronto a mungere le casse del movimento: non bastano le sue spese, il tesoriere Belsito deve pensare anche ai conti dei « ragazzi», gli uomini della scorta. Se il rampollo di Gemonio è da solo gli basta una Bmw X5, altrimenti sfodera la fiammante Audi A6. Si gode la vita, il Trota. Ma questo si era capito già in tempi non sospetti: le cronache gossipare raccontano che una volta prenotò un intero ristorante giapponese a Milano per far colpo su una tale Stefania.

Metteteci anche la showgirl Eliana Cartella, che scatenò una guerra ad uso e consumo dei media tra Bossi jr e Mario Balotelli: «Il primo è romantico — rivelò senza esitazione — il secondo è bello». Ovviamente, mollò il romantico. Cioè Renzo, il più giovane d’Italia a sedersi sulla poltrona di un’assemblea regionale. Ci arriva nel 2010, senza fare troppa fatica. E senza particolari meriti sul campo (come si converrebbe a ogni lumbard che si rispetti) se non quelli di affiancare il papà menomato dalla malattia nei comizi o di inventarsi il giochino su Facebook «Rimbalza il clandestino», respinto con perdite e foriero solo di polemiche e accuse di razzismo. Per volere del premuroso Senatur, è la fedelissima Monica Rizzi a curargli la campagna elettorale. E a eliminare a suon di dossier illegali, sospettano i magistrati, maggiorenti locali che potrebbero insidiarne la corsa al seggio.

Il risultato arriva: tredicimila preferenze nella roccaforte di Brescia, condito da corposo cotè di scorribande notturne in compagnia di Valerio Merola, che cercherà (senza successo) di ripiazzare in Rai. Al Pirellone il galante Trota (ora fidanzato con l’avvenente Silvia Baldo) entra in pompa magna, e fa subito comunella con l’altra enfant prodige Nicole Minetti: «Se è brava quanto è bella — l’approccio con l’igienista dentale — faremo grandi cose». Finora non ve n’è traccia.

Così come non ci sono prove certe dei suoi titoli di studio. Dopo tre tentativi andati a vuoto, pare che Renzo sia riuscito, non si sa in quale istituto («Non lo dirò mai»), ad agguantare il diploma con poco più del minimo sindacale: 69/100. Per la laurea, invece, ci stiamo attrezzando. O meglio, si sta industriando il partito, come sempre. «Anche Renzo Bossi — mette a verbale Dagrada — sta ‘prendendo’ una laurea a un’università privata di Londra (come Belsito guarda caso, ndr) e so che ogni tanto ci va a frequentare: le spese sono tutte a carico della Lega, credo sui 130 mila». Il figlio del capo non paga mai. «Neanche il caffè in Regione», si lascia scappare al telefono l’ineffabile funzionaria. Figuriamoci quando gli presentano un conto salato alla discoteca Hollywood, tempio danzante della movida meneghina: «Io pagare? — avrebbe replicato il Trota qualche tempo fa — Ma siamo matti? Voi lavorate, noi stiamo al governo». E ora? Se andasse male con la politica, il giovane Renzo potrebbe sempre seguire le orme del fratellastro Riccardo, nato dal matrimonio tra l’Umberto e Gigliola Guidali.

Dopo una breve esperienza come portaborse dell’europarlamentare leghista Francesco Speroni e un ben più lungo cursus honorum nei rally di mezza Padania, il ragazzo classe ‘79 si è dato all’imprenditoria, prima con un’azienda di articoli medicali poi con un’agenzia di viaggi. Si è sistemato, insomma. Dopo aver preso, lui sì, una dura reprimenda dal padre padrone quando ventilò l’ipotesi di partecipare all’Isola dei famosi: «Se ci prova lo prendo a calci nel culo». Chissà se il Senatur ha usato la stessa colorita espressione una settimana fa, quando, alla vigilia della tempesta giudiziaria, il terzogenito Roberto Libertà è stato condannato per aver preso a gavettoni di candeggina un militante di Rifondazione comunista.

di Nicola Palma