Marinella Rossi
Milano
«PERCHÉ

noi siamo tutti uomini, no? C’è chi è un ardito, c’è chi si vergogna, c’è chi pensa che se manda un altro è meglio, c’è chi non se la sente di farlo, questo lavoro. E sono venuti da me». Il lavoro? Penetrare «da ormai 34 anni tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità». E, «si, io so cosa bisogna fare, come intervenire, quando intervenire», per garantire il miglior risultato all’azienda sanitaria privata che richiede facilitazioni nei rimborsi. Così, al magistrato che gli chiede come mai le maggiori aziende si rivolgessero proprio a lui, che esperto di sanità non è, ma diplomato in ragioneria, e proprietario di un numero di società persino a lui sconosciuto, con noncurante falsa modestia a Pierangelo Daccò risponde: «Non sono un esperto, un tecnico della sanità». Ma di relazioni e «meandri», sí.

NON SONO

stralci di sceneggiatura da Giorno della civetta, ma la serie di frasi che compongono il verbale del faccendiere-lobbista, che il 17 aprile risponde nel carcere di Opera alle nuove contestazioni della Procura di Milano, per bocca del gip Vincenzo Tutinelli. Gli si contesta associazione per delinquere, appropriazione indebita e fondi neri all’ombra della Fondazione Salvatore Maugeri, dopo che un’altra misura cautelare del novembre 2011 lo accusa di aver contribuito, con sovraffatturazioni ad hoc, al crac del San Raffaele. Lo stesso uomo, Daccò, al centro della querelle sui viaggi da lui pagati anche a Roberto Formigoni. E proprio ieri i pm milanesi chiedono al gup il rinvio a giudizio di Daccò, e altri sei, per aver contribuito al dissesto della Fondazione Monte Tabor. Mentre la Cassazione chiede ai magistrati di motivare se Daccò fosse consapevole, da esterno, di contribuire a un crac.
«Conosco il dottor Passerino (Costantino, direttore amministrativo della Maugeri, ndr) verso il 1997... Mi vien portato a casa dal dottor Simone (Antonio, amico decennale di Roberto Formigoni e uomo di Cl, appena arrestato per la Fondazione Maugeri (ndr)». Passerino «mi prospettò una serie di problematiche alla quale stava andando incontro l’ente che lui governava: ‘io avrei bisogno dei suoi servizi...’». Il lavoro? «Un contenzioso con la Regione Lombardia per delle prestazioni non pagate. Ammotava a 23 miliardi... Allora erano parecchi soldi, nel ’97-‘98. Per cui io riuscii a sbloccare questa situazione andando persino a parlare col direttore generale di allora, che se non ricordo male era Beretta». Così ottenendo, dal 2004 al 2011 dalla Maugeri, una provvista, per lui, di 70 milioni di euro.
Le percentuali di Daccó, per risolvere problemi? «Facevo una percentuale... Di volta in volta.Cinque per cento, quindici per cento, in Sicilia io prendo il diciotto per cento».

REFERENTI?



«Sono sempre stati il direttore generale (Beretta, Botti, ndr)... L’assessore che adesso è Lucchina... Quando c’era l’assessore della Lega Cè, io non l’ho mai visto...». «Perché io lavoro molto sull’umano, sul rapporto, no? Diretto. E alcune volte sono quasi invadente...». Rapporti? «Ero molto amico del Ministro Garavaglia.. E quando avevo bisogno di qualcuno, avevo referenti politici importanti a Roma... Negli ultimi anni, purtroppo è andato in cielo anche lui, era il senatore Comincioli del Pdl. E Micciché che è un mio amico, Pippo Fallica, altro amico... Cammarata e Cuffaro». Denari, corruzione? «Io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c’è piú» (il vicepresidente del San Raffaele suicida, Mario Cal).

DACCÒ

debutta «col Fatebenefratelli», poi «dal gruppo di Ligresti, per una cosa che non ricordo, di ottanta milioni di lire... Per uno spot per il dottor Antonio Ligresti, quando c’è stato il problema della camera iperbarica al Galeazzi (l’incendio, 11 morti, ndr)».
E il denaro a Simone? «Con Simone c’è un sodalizio che dura da vent’anni... Uno che di sanità ne mastica... E poi per affinità calcistiche, siamo tutti e due dell’Inter, no? Lui aveva smesso di fare il politico, persona intelligente, ci siamo trovati e abbiamo fatto qualcosa insieme». Affari, al «cinquanta per cento».
«Io faccio questo lavoro dal 1988, in Regione. Dove mi conoscono tutti...». E con chi va a insistere, in Regione, Daccò. Dal «direttore generale... Anche a lui davo un pacco Natale e colomba a Pasqua...» Ma un anno vennero rifiutati: «C’era aria che non si poteva più dare il pacco con dentro il vino, i fichi secchi, il panettone». Integerrimo, fa il giudice... «Lucchina me l’ha mandato indietro due anni, gli altri no. Poi l’ha ripreso. Visto che insistevo».