Bruno Ruggiero
ROMA
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una disputa tra tecnologie investigative, oltre alla distanza ormai siderale dal giorno del delitto, dietro l’assoluzione piena in appello (per non aver commesso il fatto) di Raniero Busco, l’unico imputato dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, condannato in primo grado a 24 anni di carcere il 26 gennaio 2011. Nella tarda mattinata di ieri, la Corte d’Assise d’appello ha ribaltato quel verdetto che era arrivato quasi 22 anni dopo il 7 agosto 1990, quando la giovane segretaria venne trovata uccisa da ben 29 colpi d’arma bianca (forse un tagliacarte, mai recuperato) in un ufficio di via Poma, in un quartiere ad altissima densità di sedi giudiziarie e studi legali. Il sostituto procuratore generale Alfredo Cozzella, rappresentante dell’accusa in aula, aveva chiesto invano la conferma della condanna. Nessun colpevole, quindi. In pratica la resa di fronte a un «caso freddo» da annali della criminologia.
Busco, l’ex fidanzato della vittima che oggi ha 47 anni ed è padre di due figlie, ha accolto in lacrime la sentenza: «Da oggi ricomincio a vivere». Poi ha abbracciato il fratello (che gli ha detto soltanto «la giustizia esiste») e l’avvocato Franco Coppi, entrato nel suo collegio difensivo dopo la condanna di un anno e mezzo fa. Infine, colto da un leggero malore come in occasione della condanna, attorniato da una gran ressa di telecamere e fotoreporter, Busco è stato sorretto fino ad una stanza vicina dai carabinieri incaricati dell’ordine pubblico. Applausi e urla da parte degli amici di famiglia dopo la lettura del dispositivo. Ai più è apparsa decisiva per l’assoluzione di Busco la nuova perizia disposta dalla stessa Corte d’Assise d’appello a processo iniziato. Secondo i periti che hanno depositato le loro conclusioni il 27 marzo scorso — Corrado Cipolla D’Abruzzo, medico legale dell’Università di Chieti, Carlo Previderè, ricercatore universitario di Genetica forense a Pavia, Paolo Fattorini, medico legale dell’ateneo di Trieste — il famoso segno riscontrato sotto un seno di Simonetta Cesaroni non sarebbe compatibile con un morso inferto da Busco, mentre sul corpetto della ragazza oltre al Dna dell’ex compagno sarebbero rilevabili tracce biologiche di altri due uomini. Che ne era, a quel punto, del lavoro di fino svolto tra il 2004 e il 2009 dagli esperti della Scientifica per conto della Procura di Roma nell’estremo tentativo di risolvere il giallo?

«LA PERIZIA


disposta dalla Corte ha portato un grande contributo, ma non è stata determinante, non è stato l’unico elemento», ha commentato il professor Coppi. «Non faccio mai pronostici ma eravamo fiduciosi — ha sottolineato il penalista —. Avevamo una grande speranza perché tutte le prove deponevano in tal senso, a favore di Busco». «Ma questo non è un delitto senza colpevole — ha ammonito poi il legale —. Un colpevole c’è, circola liberamente e vive nascosto dietro la sua vigliaccheria». Per quanto riguarda i progetti che, archiviato l’incubo degli ultimi cinque anni (dall’iscrizione sul registro degli indagati nel 2007), tornano alla portata del suo assistito, Coppi si è limitato a dire: «Ora sta bene, da domani le nostre vite torneranno autonome». Amaro il giudizio della parte civile, la battagliera famiglia Cesaroni. «Sono rimasto profondamente sorpreso da questa decisione dei giudici; soprattutto perché hanno sentenziato un’assoluzione piena di Busco, a quanto pare senza ritenere esistente alcun dubbio», ha detto l’avvocato Massimo Lauro, patrocinatore di Anna Di Giambattista, la madre di Simonetta. «Tutto questo mi fa pensare molto — ha aggiunto Lauro — A fine luglio avremo le motivazioni della sentenza e decideremo di conseguenza se impugnarla». Gli ha fatto eco il Pg Cozzella: «E’ una sentenza che va accettata e rispettata; dopo le motivazioni vedremo che cosa fare. Quasi certamente, comunque, ricorreremo in Cassazione».