Brunei, 29 aprile 2012 - “Vogliamo sostenere la proiezione dell’Italia nel suo insieme su due grandi direttrici di fondo: la dimensione politica e la dimensione economica. Rientrano in questa profonda consapevolezza la responsabilità di tutelare sempre gli interessi dei nostri connazionali all’estero, quelli delle nostre imprese ma anche la missione culturale del nostro Paese”. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha concluso il suo tour asiatico, che l’ha visto prima in Indonesia e poi all’incontro tra Ue e i dieci paesi dell’Asean (per l’Italia, un mercato da 10 miliardi di euro) in Brunei e soprattutto effettuare la prima visita di un uomo di governo italiano in Birmania, giusto all’indomani della sospensione delle sanzioni da parte dell’Ue.

Ministro Terzi, quando lei era in Indonesia la Farnesina ha risolto la vicenda della Enrico Ievoli, ma sul fronte della pirateria resta aperta la vicenda dei marò: si poteva fare di più?
“Per quanto riguarda la vicenda dei marò, dal momento nel quale sono stati artatamente fatti entrare con la nave Lexie nelle acque territoriali indiane noi abbiamo costantemente insistito, io e gli altri membri del governo, sul principio della legislazione internazionale in alto mare e sul principio della giurisdizione delle forze militari imbarcate anche su mercantili civili in funzione antipirateria. Sarebbe lunghissimo l’elenco delle riunioni nelle quali ho sollevato questo punto. E ho trovato sempre non solo piena comprensione ma molto spesso anche una disponibilità a intervenire. Sono almeno una ventina i casi nei quali paesi di ogni parte del mondo mi hanno detto di essere intervenuti presso l’India e mi hanno riferito i contenuti delle conversazioni. Al G8 ho fatto in modo di inserire nel comunicato un esplicito riferimento e ancora oggi alla riunione dell’Asean abbiamo ottenuto lo stesso. E mi ha fatto molto piacere che Lady Ashton, sia intervenuta sulla necessità di un salto di qualità nell’azione antipirateria e nell’interpretazione dei principi giuridici, con evidente riferimento al caso del Kerala”.

La vicenda Battisti e quella marò mostrano che paesi come il Brasile e l’India non accettino ingerenze. Quale è la strategia migliore per interloquire con loro?
“India e Brasile sono due paesi che da molto tempo mostrano una linea di politica estera più assertiva di quanto non fossimo stati abituati a vedere. Entrambi hanno un concezione assoluta della sovranità nazionale. Ci sono paesi verso i quali battere i pugni sul tavolo tiene effetti assolutamente opposti e si interrompe qualsiasi possibilità di una soluzione accorta e ragionata”.

Serve quindi il dialogo, la diplomazia. Ma quali sono le priorità globali della Farnesina?
“In primis l’Europa; il Mediterraneo inteso nelle sue dimensioni di profonda trasformazione e l’Asia. Ed è interessante vedere come ci sia sempre nei nostri interlocutori una grande attenzione nei confronti dell’Italia. Lo abbiamo visto in Birmania, dove l’interesse italiano a sostenere lo sviluppo economico del Paese in una direzione che sia anche di impulso alla democratizzazione è stato molto apprezzato sia dal presidente che dalla signora Aung San Suu Kyi. La stessa attenzione l’ho avuta nelle visite sia negli altri paesi asiatici che in quelli che hanno vissuto la primavera araba, per i quali stiamo lavorando moltissimo per accompagnarli nel loro percorso di consolidamento istitituzionale. E la nostra azione riguarda anche l’Africa, dove mi recherò a giorni, e dove vi sono grandi prospettive di sviluppo”.

Lei ha sottolineato l’aspetto economico come “seconda gamba” dell’azione della Farnesina. Può venire dall’export il motore di quello sviluppo che tanto manca al nostro paese?
“Ne sono convinto. Ed è per questo che la Farnesina si fa portatrice di un ruolo fondamentale. L’intensità di un rapporto politico ha un impatto abbastanza diretto sulle possibilità di fare impresa. E noi vogliamo farcene carico, con una visione della politica estera incentrata sulla dimensione della pace e della sicurezza da un lato, del ruolo attivo del nostro paese nelle situazioni di crisi, ma dall’altro anche nell’essere una filiera che crea opportunità economiche. E mi conforta che forse mai come ora percepisco una spinta da parte degli imprenditori a favore dell’internazionalizzazione”.

In questo contesto di grande attenzione all’economia resta però l’altro e principale aspetto della diplomazia. Quello puramente politico. A preoccupare molto in questi mesi è la crisi siriana. Nei giorni scorsi il ministro degli esteri francese ha ventilato l’ipotesi di un intervento. Rischiamo una nuova Libia?
“ci sono de membri permanenti del consiglio di sicurezza, che come è noto dispongono del potere di veto, la Russia e la Cina, che sin dalle operazioni occidentali in Libia di interdizione della capacita aerea del regime di Gheddafi e per proteggere le aggressioni alla popolazione civile libica da metà del’anno scorso continuano a ripetere che il modello libico non può essere replicato. Ora, è chiaro che le posizioni possono anche evolvere di fronte all’enormità della crisi siriana, ma diversamente a quello che è accaduto in Libia non vedo le condizioni per l’azione simile da parte dei paesi occidentali. Mi sembra totalmente da escludere, siamo i un teatro molto diverso, con dei vicini molto più problematici, con un armamento del paese molto pesante: richederebbe uno sforzo che non vedo dove si potrebbe trovare. La strada è quella della pressione politica, delle sanzioni, dell’isolamento del regime”.

E’ invece possibile un armamento dell’esercito libero siriano?
“Vi sono alcuni paesi soprattutto del Golfo che vorrebbero farlo, anche in maniera massiccia, rendendo questo strumento militare un braccio operativo di un coordinamento politico che si dovrebbe creare tra le varie anime dell’opposizione. Mi pare che siamo lontani anche da questo. E d’altra parte in molti si chiedono in che misura le forze armate dell’insorgenza avrebbero delle vere chances per contrastare le forze regolari siriane. Certo è che la situazione si va protraendo al di là dell’imaginabile e che probabilmente potrà portare ad una nuova risoluzione del consiglio di sicurezza. Ma sempre nel segno di una pressione su Assad e cercando di dispiegare un adeguato numero di osservatori, no certo per un intervento militare”.

A maggio il vertice Nato di Chicago affronterà scelte chiave sia sul fronte afghano che più in generale sul fronte della deterrenza, compreso il contestato scudo antimissile inviso ai russi. Su questo ultimo punto lei ha avuto modo di confrontarsi recentemente con i vertici del Cremlino. Che imperssioe ne ha tratto?
“La visita a Mosca della scorsa settimana e in particolare i colloqui con Medvedev e Lavrov sono stati un momento molto importante per confermare la posizione dell’Italia sul concetto dell’”indivisibilità della sicurezza” e quindi della compatibilità delle visioni e degli obiettivi di settore tra Usa, Eu e Russia nel decimo anniversario e con lo stesso spirito di Pratica di Mare. Sono convinto che Nato e Russia abbiano solo da guadagnare nel cercare di dialogare per trovare da qui a Chicago un nuova sintonia”.

dall'inviato Alessandro Farruggia