Andrea Zanchi
BOLOGNA
A MENO

di una settimana dalla scossa che li ha costretti ad abbandonare le proprie case, a reinventarsi una vita lontano dalle stanze e dalle cose più care, gli sfollati stanno conoscendo, in queste ore, l’ennesima faccia crudele del terremoto: il caldo.
Fa caldo nei campi allestiti dalla Protezione civile tra Modena, Ferrara e Bologna. Fa caldo, soprattutto, dentro quelle tende che offrono riparo e sicurezza dalla terra che balla, ma che si stanno rivelando delle vere e proprie fornaci.

LA ‘BASSA’


in questo periodo è impietosa: sole a picco, umidità alle stelle e quell’afa che ti abbraccia al mattino e non ti molla più fino a quando non tramonta il sole. Se di notte il clima è ancora accettabile, di giorno la situazione si capovolge: ieri, verso le 18, le temperature dentro le tende superavano i 35 gradi.
Anche di fronte a questo problema, però, la macchina organizzativa si è già data da fare: ora la parola d’ordine è ‘fresco’. E il prima possibile. Ieri sera, nella zona di Mirandola, nel Modenese, sono arrivati i primi condizionatori, ma è chiaro che questa è solo una soluzione d’emergenza. Ed è anche per risolvere questo nuovo problema, oltre che per dare una sistemazione degna e di qualità agli sfollati, che Protezione civile e Regione Emilia-Romagna stanno lavorando per spostare al più presto quante più persone possibile dalle tende alle case non abitate.
«Ora — ha spiegato detto Vasco Errani, presidente dell’Emilia-Romagna — dobbiamo capire bene quante sono le abitazioni inagibili, e ci vorrà un po’ di tempo, ma per ospitare gli sfollati la priorità è usare le case sfitte». Niente prefabbricati come successe all’Aquila tra anni fa, dunque.

LA REGIONE



ha cominciato in queste ore a calcolare quante siano le case sfitte disponibili («stiamo già facendo un censimento e sistemeremo gli appartamenti con le attrezzature necessarie», ha detto Errani). Nei prossimi giorni, è in programma un incontro tra le associazioni di proprietari e l’assessore regionale all’Edilizia, Gian Carlo Muzzarelli. Stando ai dati provvisori del censimento Istat qualche numero di riferimento (non definitivo, sia chiaro) si può già avere: in Emilia-Romagna ci sono 355.715 case non occupate, di cui 65.593 in provincia di Bologna, 65.171 in quella di Modena e 49.445 nel Ferrarese.
I punti fermi del piano? La copertura finanziaria dell’operazione arriverà molto probabilmente dai soldi stanziati dal governo per l’emergenza (50 milioni). Un ruolo decisivo sarà affidato alle associazioni di proprietari, fondamentali per quanto riguarda gli aspetti tecnici. L’obiettivo è quello di spostare gli sfollati in zone sicure, ma pur sempre il meno lontano da quelle di residenza.

UN PO’


come si cerca di fare con le imprese: aiutarle a ‘traslocare’ sì, ma mantenendole il più vicino possibile alle zone colpite dal sisma. E, comunque, all’interno dei confini regionali. Una ‘delocalizzazione intelligente’, senza recidere in modo irreversibile il legame con il territorio. Questa è la soluzione confermata ieri, dopo l’incontro con i segretari di Cgil, Cisl e Uil, dal presidente Errani. «La risposta delle istituzioni sul sostegno economico e sullo sveltimento degli iter burocratici è fondamentale» ha detto Gaetano Maccaferri, presidente di Confindustria Emilia-Romagna.
A livello locale i sindacati hanno dato la loro disponibilità a firmare specifici accordi con le aziende, ma sempre con la condizione fondamentale che l’impresa, una volta sistemata la fabbrica, torni nel luogo originario dove produceva prima del terremoto: il censimento dei capannoni sfitti per ospitare chi dovrà trasferirsi è già iniziato, e a breve i primi elenchi saranno disponibili su Internet.