di Lorenzo Bianchi

BOLOGNA, 5 giugno 2012 - L’ATTIVITÀ sismica può durare «anche più di un anno». E «non sono escluse repliche della stessa entità» di quelle già avvenute. Le mappe tradizionali delle zone sismiche, basate sulle serie storiche e sulle registrazioni dei sismografi (in termini tecnici il sistema probabilistico) si sono rivelate una tragica approssimazione per difetto. Giuliano Francesco Panza, professore ordinario di sismologia all’Università di Trieste, accademico dei lincei e della Russian Academy of science, nonché professore onorario della China earthquake administration, l’amministrazione cinese che si occupa di terremoti, preferisce l’ aggettivo «inadeguato». «L’approccio probabilistico — argomenta — si è rivelato inadeguato a livello mondiale nel 40% degli eventi che hanno creato danni negli ultimi dieci anni. Ha dato sottostime di quello che poteva essere l’effetto. Già nel 2001, in un lavoro pubblicato dalla Academic Press di New York nella serie Advances in Geophisics, assieme a Romanelli e a Vaccari, la pericolosità della zona dell’Emilia colpita dal terremoto l’avevamo definita molto prossima al valore che è stato effettivamente registrato il 20 maggio. Nella nostra carta deterministica della zona avevamo quantificato l’indice di accelerazione di gravità (la forza del sisma, ndr) da 0,15 a 0,30 g. La carta è stata pubblicata di nuovo in un lavoro del 2011. Chi di dovere, se voleva, poteva leggersela, non era sul Corriere dei piccoli, che è pur sempre una testata rispettabile. Poi c’è una seconda tabella molto interessante».

Quale?
«Gli undici terremoti che hanno provocato più vittime fra il 2001, da quello in India di Bhuj, del 26 gennaio 2001, a quello di Sendaj in Giappone, avvenuto l’11 marzo 2011, hanno fatto registrare differenze fra i valori osservati e quelli, più bassi, previsti a livello globale dall’approccio probabilistico. In media ogni anno la natura ha fornito un tragico esempio di quanto gravi possono essere le conseguenze delle sottostime dell’approccio probabilistico».
 

Qui in Emilia tutti si chiedono con ansia quanto durerà l’attività sismica.
«Anche più di un anno, bisogna entrare in questo ordine di idee, la Protezione civile può essere chiamata a fronteggiare questo tipo di impegno temporale».

I segni premonitori dei terremoti esistono?
«Forse, ma ho seri dubbi su quelli a breve termine. Non si debbono creare aspettative e illusioni. La verità è questa. I terremoti non si possono prevedere con precisione. Se si sostiene che i sismi non si possono prevedere, nessuno fa niente. Ma se affermo che non si possono prevedere con precisione, c’è comunque un obbligo morale a vedere come si possono utilizzare queste previsioni non precise. Per quanto riguarda la pericolosità, il sistema neodeterministico applica a ciò che si sa del passato le leggi della fisica in merito alla propagazione e alla generazione delle onde. In base a questi elementi si fanno scenari di scuotimento del suolo».

L’unico versante possibile è la prevenzione?
«Certo, la previsione a medio termine può servire a fare prevenzione».

Ci saranno repliche del sisma?
«Per la zona colpita non si possono escludere repliche della stessa entità di quelle già avvenute, come quella del 3 giugno».

Che cosa suggerisce?
«Il mio suggerimento è di tener conto delle stime fatte con il sistema neodeterministico che sono più cautelative di quelle fatte con le carte probabilistiche. Si deve cambiare strada nella pianificazione futura. Le stime neodeterministe si sono dimostrate drammaticamente attuali».