Elena G. Polidori

ROMA, 10 giugno 2012 - TUTTI felici e contenti per le nomine Rai? È apparenza. E le contrastanti riflessioni che il giorno dopo regala il mondo politico hanno tutte una precisa chiave di lettura. Bisogna, infatti, decriptare un tono di amarezza nelle parole di Angelino Alfano, segretario Pdl, quando applaude Monti per gli «ottimi nomi» scelti per la Rai, salvo poi chiedersi: «Perché è stata sostituta Lorenza Lei che aveva ottenuto ottimi risultati aziendali?». Quanto a Pier Luigi Bersani, nonostante consideri le nomine «pertinenti e credibili», ha rimarcato la volontà del Pd di tenersi a distanza dalla nuova Rai perché – sostiene – «a legislazione vigente non può esistere una governance seria».

BERSANI, si sa, voleva buttare la legge Gasparri, ma in questa presa di distanza c’è anche di più. Più o meno la stessa consapevolezza che si legge nello sbrigativo commento di Pier Ferdinando Casini («buone!»), ma al quale non sfugge che il duo Tarantola-Gubitosi avrà una mission precisa nel futuro della tv pubblica, tale da rendere quasi ininfluente il resto del cda. La politica, dunque, espulsa per la prima volta dai piani alti della tv pubblica? L’impressione superficiale, anche secondo l’Idv, parrebbe questa, salvo che a Di Pietro queste nomine calate dai «poteri forti economici» del Paese proprio restano indigeste.

«Cosa c’azzecca — ecco, Di Pietro — Bankitalia con la Rai, prima azienda culturale italiana?». C’azzecca. E pure parecchio. Quello che ha fatto Monti con la nomina di Tarantola e Gubitosi è, di fatto, un commissariamento della tv pubblica sotto il profilo strettamente economico.

COME annunciato, infatti, il premier si avvia a modificare, in qualità di ministro dell’Economia e azionista di maggioranza di viale Mazzini, il profilo della governance aziendale: più potere di spesa al presidente (fino a 10 milioni di euro) e responsabilità sui bilanci. Al dg, l’altra fetta del ‘potere’ dal punto di vista editoriale. Al cda resterà il solo ruolo di indirizzo e il voto sulle nomine che, comunque, saranno portate al tavolo non per motivi di appartenenza politica, ma di gestione aziendale.
Ma torniamo al dibattito politico. In questo quadro, la difesa dell’ormai ex dg Lorenza Lei da parte di Alfano non è irrilevante. Qualcuno forse teme che Anna Maria Tarantola passi al setaccio l’ultimo bilancio in positivo approvato dal cda uscente. E che si scopra che quei conti positivi, tanto positivi poi non sono. E dietro il placet a metà di Bersani si intravede la convinzione che la Rai, di qui a breve, sarà sottoposta ad una cura da cavallo di tagli e ristrutturazioni, una patata bollente da cui tenersi debitamente a distanza, specie in zona elezioni. Un discorso che vale anche per l’Idv e per l’Udc, seppure in misura diversa. La Rai, con la cura impostata da Monti, si avvia a diventare un’azienda diversa, più piccola ma più sana. Fatto questo percorso, i partiti potranno tranquillamente riappropriarsene. Dopo aver fatto fare il lavoro sporco ai tecnici, ormai come da tradizione.