Paola Fichera
FIRENZE
LE ULTIME

riserve sulla sua candidatura, il sindaco rottamatore Matteo Renzi fa finta di non averle ancora sciolte. Ma la sua corsa contro Bersani è praticamente certa. In realtà l’interrogativo che inquieta Renzi è uno solo: Bersani ha detto primarie aperte. Sì, ma con quali regole? Questione non di poco conto visto che può condizionare (e di parecchio) l’esito. In campo, per ora, ci sono i nomi di Bersani, Vendola, Di Pietro, Renzi, probabilmente Civati, forse l’ulivista Parisi e, ultimo arrivato, il fu margheritino, l’ex sindaco Pd di Macerata Giorgio Meschini.

SU TUTTO,

in ogni caso, aleggiano le decisioni della assemblea nazionale (programmata per la metà di luglio) che ha il compito di cambiare lo statuto del partito e stabilire le nuove regole. In quella sede Renzi e Civati dovranno affrontare l’aperta contrapposizione di D’Alema che non ha mai fatto mistero di preferire primarie chiuse. E sul tavolo ci sarà anche la questione delle alleanze: liste civiche? Moderati? (Finora silenziosi) o la sinistra di Sel?
A Firenze, intanto, il rottamatore fa spallucce al suo segretario metropolitano, Patrizio Mecacci («se perde le primarie poi sarà dura continuare a fare il sindaco») e gli ricorda che «Non è più il partito a scegliere il sindaco, ma i cittadini di Firenze con le primarie». Anche perchè il sindaco lo ha detto chiaramente: «Se perdo le primarie non mollo Firenze per andare a fare né il parlamentare schiacciatasti, né il ministro. Resto a fare il sindaco».
Bersani invece deve vedersela con Di Pietro che, dopo i bacchettamenti della scorsa settimana, ha definitivamente strappato la foto di Vasto cavalcando i malumori della Fiom: «Non è più il tempo dei primi della classe — ha sferzato — ci vuole coerenza tra parole e comportamenti e non ce l’ha detto il medico di stare insieme. La politica in questo momento è offesa da chi fa le spartizioni sull’Agcom, su chi vota la fiducia sull’articolo 18, su chi va in piazza e poi sta con il governo Monti». Di Pietro, in maniche di camicia, sul palco della manifestazione Fiom ha buon gioco ad attaccare il segretario del Pd accolto con qualche fischio per la difesa prima del governo Monti e poi del famigerato articolo 18. «Non era questa — è stato costretto a spiegare Bersani — la nostra proposta e l’ultima cosa che avrei fatto era discutere sull’articolo 18 ma ritengo che si sia fatto argine in una situazione difficile e comunque non tutto ci va bene e alcune cose vanno riviste».

IN PLATEA



Bersani, visibilmente contrariato dallo show di Di Pietro chiacchiera fitto con Vendola ed è proprio da lui, rivale certo alle primarie, che riceve un inaspettato sostegno: «L’unita del centrosinistra non è un obiettivo della politica, è una necessità. Abbiamo bisogno di costruire una larga coalizione di governo che porti il Paese fuori dalla palude del berlusconismo. Dobbiamo abbassare i toni e concentrarci sui problemi reali del Paese che sta crepando. Esigo che la sinistra metta al centro dell’attenzione non la boria del mio partito, di Sel, o di qualcun altro, ma le risposte sul lavoro che dobbiamo dare agli italiani».