Roma, 21 giugno 2012 - Un primo anticipo con il decreto sulla spending review di giugno. E, in autunno, il taglio vero e proprio. Sta prendendo questa forma il piano di riorganizzazione delle Province e degli uffici statali su base provinciale allo studio del governo. Un piano che, stavolta, appare più concreto rispetto a quello a cui la nostra storia ci ha abituato, perché l’esecutivo lo sta approntando insieme all’Unione delle Province, impegnata in prima linea in questa revisione del nostro sistema di enti locali.

La questione è stata affrontata in un primo incontro due giorni fa, al quale seguiranno altri appuntamenti già nei prossimi giorni. «Non c’è ancora nulla di fissato, ma i contatti sono continui», fanno sapere dall’Upi. E, in questo senso, grosse novità potrebbero arrivare già con l’assemblea nazionale delle Province italiane, prevista per il prossimo 26 giugno a Roma, alla presenza del ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi e della titolare dell’Interno Annamaria Cancellieri.

Il progetto del governo parte dall’idea, anzitutto, di favorire la nascita delle città metropolitane, previste da anni e mai attuate. In queste aree, Comuni con competenze più pesanti e allargate si sostituirebbero di fatto alle amministrazione provinciali. Quelle sul piatto sono in tutto dieci: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria. Insieme rappresentano l’11% della superficie nazionale, il 31,5% della popolazione e addirittura il 34% del prodotto interno lordo. Questo taglio potrebbe arrivare già per fine mese. A questa prima sforbiciata si dovrebbe accompagnare il taglio delle Province sotto i 300mila o 350mila abitanti (le Province diventerebbero enti di secondo livello, come le comunità montane, e non sarebbero elette a suffragio universale). Con l’ipotesi più soft, quella del taglio sotto i 300mila abitanti, sarebbero a rischio una quarantina di amministrazioni. Tra queste Pistoia, Piacenza, Savona, Siena, Prato, Rovigo, Trieste, Grosseto, Lodi, La Spezia, Imperia, Asti, Belluno, Massa Carrara, Sondrio e Vercelli. Salendo a 350mila rischierebbero, invece, oltre cinquanta province: tra queste anche Arezzo, Livorno, Lecco e Rimini.

In pratica, mettendo l’asticella a questo livello si otterrebbe un dimezzamento del livello attuale. Questi primi due interventi, secondo le cifre dell’Upi, valgono da soli circa un miliardo. Un’altra fetta importante di risparmi, direttamente collegata a questa, potrebbe arrivare dalla riorganizzazione di tutti gli uffici periferici dello Stato basati sul livello provinciale: questure, sovrintendenze, prefetture. Da quest’altra voce, secondo i calcoli, potrebbero arrivare altri 2,5 miliardi di euro. E un altro miliardo e mezzo potrebbe essere generato dall’abolizione di altri enti e agenzie a livello provinciale. In totale, insomma, si potrebbe arrivare a cinque miliardi. Tutto da definire l’iter di riorganizzazione delle Province estinte: saranno accorpate a quelle più vicine superstiti? Quali precise competenze resteranno e quali passeranno alle regioni?

Matteo Palo