di Marco Sassano

Roma, 22 giugno 2012 - Il 'caso' nasce quando il giornalista Marco Lillo intervista sul Fatto Quotidiano il consigliere giuridico del presidente Napolitano, il giudice Loris D’Ambrosio, chiedendogli se era vero che l’ex vicepresidente del Csm ed ex ministro degli Interni Nicola Mancino si era rivolto a lui dopo che era stato interrogato dal pm palermitano Antonio Ingroia sulla ipotesi di trattativa tra lo Stato e la mafia dopo le stragi del 1992-1993.

Dopo che il consigliere presidenziale ammette di aver ricevuto telefonate e lettere da parte di Mancino, Ingroia chiude la sua indagine che si svolgeva su un binario parallelo rispetto a quelle delle procure di Firenze e Caltanissetta. A questo punto esplode il caso: vengono pubblicate le intercettazioni tra Mancino — allora semplice teste, poi indagato per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia — e D’Ambrosio.

E mentre Antonio Di Pietro gridava allo scandalo per l’intromissione quirinalizia in un’indagine giudiziaria molto delicata, dall’Alto Colle, nel tentativo di stemperare gli animi, si rispondeva che Giorgio Napolitano si era interessato alla vicenda per richiamare, anche nella sua veste di presidente del Csm, l’esigenza di coordinamento delle investigazioni da parte di tre diverse procure.

E per dar prova della sua buona fede faceva diffondere la lettera che il segretario generale della Presidenza, Donato Marra, aveva inviato al procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, ravvisando le "preoccupazioni" di Mancino e chiedendo che che venissero adottate iniziative che garantissero la conformità d’indirizzo tra le procure. Esigenza confermata dal capo della Direzione nazionale antimafia, Piero Grasso, che già nell’aprile del 2011 aveva risolto la questione negando l’avocazione. In pratica Grasso non rilevando violazioni nelle indagini, lasciò il coordinamento ai pm di Palermo. Insomma, un guazzabuglio. Reso ancora più complicato dalle presunte telefonate tra Mancino e Napolitano — rivelate da Panorama — che, pare, non siano state trascritte dai pm perché irrilevanti. Ergo: se anche effettivamente ci fossero state quelle telefonate, il contenuto (segreto) non arriverà comunque agli atti del processo.Di sicuro c’è solo — come rileva il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli — "che le polemiche e le troppe parole fanno male alle indagini". Ingroia, dalla sua, ribadisce il "massimo rispetto per Napolitano", mentre il capo della Procura di Palermo Francesco Messineo smorza i toni. Ma quasi a ribadire che il clima non è sereno, lunedì alcuni pm hanno preteso la convocazione della Dda per discutere di quanto accaduto.