ROMA
INCURANTE
delle proteste dei partiti — soprattutto di sinistra — e delle Regioni che minacciano la rottura, con i sindacati sul piede di guerra, Monti ha portato i tagli di spesa in Consiglio dei ministri ieri poco dopo le sei del pomeriggio: così convinto della necessità di procedere (anche per scongiurare l’aumento dell’Iva ad ottobre) da andare avanti ad oltranza per varare il provvedimento all’una di notte in modo da inviarlo al Quirinale per pubblicarlo subito in Gazzetta. Commenta alla fine: «Il risparmio sarà di 4,5 miliardi nel 2012, 10,5 e 11 nel 2014». Nelle prossime settimane, continua, faremo un terzo provvedimento su agevolazioni fiscali, revisione strutturale della spesa e contributi pubblici. Intanto stamani riunirà il governo per l’esame delle misure sulla giustizia. Tutto questo non senza passaggi indolori. Perchè il testo entrato nella sala del governo molto simile a quello messo a punto dall’Economia, ha tanto da suscitare le proteste di più d’un ministro: le poche varianti riguardavano un rinvio della stretta sulle Province per cui si è battuto il Pd. Nonché un rispetto maggiore per le competenze regionali: di qui il dietrofront sulla chiusura dei piccoli ospedali. Dopo una lunghissima discussione e un braccio di ferro con il ministro della sanità Balduzzi, il premier avverte: «Non sono tagli lineari».

IN UNA SITUAZIONE

ancora difficile, con lo spread che sale e piazza Affari in sofferenza, l’accelerazione è dovuta e la road map scritta nel pomeriggio: lunedì il provvedimento arriva al Senato, ed il 31 luglio alla Camera. Prossimo terreno di discussione la possibilità di modificare le misure messe a punto dal governo: la maggioranza non gradisce il prendere o lasciare. «Sulla spending review — sottolinea il presidente della Camera Fini — il Parlamento si confronterà nel merito». Per approvare il testo prima della pausa estiva, c’è chi scommette che il metodo sia quello noto: emendamenti da un parte e fiducia dall’altra. Come da copione, al piano nobile di Palazzo Chigi è andata in scena una battaglia fino all’ultimo comma sul decreto: pubblico impiego e sanità i punti caldi. Per piegare le resistenze di alcuni ministri, il premier li ha incontrati a quattr’occhi.

IL RESPONSABILE

della sanità, Balduzzi, ha espresso il suo malumore per i tagli al settore che hanno scatenato la protesta delle Regioni portando una controproposta. Anche Giarda ha sollevato qualche dubbio su un’impostazione del provvedimento troppo vicina alla logica dei «tagli lineari», rivelando una matrice dipendente dal Ministero dell’Economia. E mal di pancia sono emersi su scuola e università.
Fuori dalle sale del governo, i più arrabbiati sono i governatori. Sì, perché le regioni sono colpite nella funzione fondamentale. La Confindustria, con Squinzi, avverte: «E’ solo un primo pezzo». Assai duri i sindacati, Cgil in testa: «E’ un attacco alla sanità per tutti».
Un freno per il Pd che se la deve vedere con la sinistra radicale e Di Pietro che annuncia: «Scenderemo in piazza contro un governo aguzzino». E dunque: torna a mettere paletti Bersani: «Siamo d’accordo di evitare l’aumento dell’Iva e a ridurre i costi della pubblica amministrazione, ma non accettiamo tagli alle prestazioni sociali». Favorevole il Pdl: «Il mio auspicio è che ci sia meno spesa pubblica e meno debito pubblico», osserva Alfano. E Casini rilancia: «Sono misure impopolari ma necessarie». Monti è netto: «Il sostegno dei partiti è benzina per il governo».
An. Co.