Andrea Cangini
ROMA
ALTRO CHE

«rifare Forza Italia» in chiave bipolarista, altro che evocare «lo spirito del ’94» per realizzare dal governo la mitica «rivoluzione liberale». Racconta una personalità vicina a Fedele Confalonieri che nei giorni scorsi il presidente di Mediaset non ha dovuto faticare affatto per convincere Silvio Berlusconi a tenersi stretto Mario Monti e fare il possibile perché dopo le elezioni del 2013 si ricreino le condizioni per larghe intese. «Questo è un Paese ingovernabile, la crisi durerà anni e la sola idea di ritrovarmi a palazzo Chigi mi fa venire la pelle d’oca», avrebbe chiosato l’ex premier. Il quale dunque non desidera tornare al governo né lo ritiene possibile. «Vuole solo rafforzarsi al punto da essere il king maker di un nuovo esecutivo il più possibile trasversale», conferma un ex ministro forzista, convinto che i mari burrascosi in cui starebbe navigando Mediaset abbiano contribuito a sospingere il Cavaliere verso questa determinazione.

PERCIÒ BERLUSCONI

caldeggia un sistema elettorale proporzionale. Perciò, perché l’hanno convinto che così otterrebbe qualche eletto in più, si è convertito alle preferenze. Perciò, come ha confidato giovedì notte a La Russa e Matteoli, ha preso per buono il sondaggio che lo incorona come il candidato premier più popolare e ha chiesto ad Alessandra Ghisleri di testare l’ipotesi di un ritorno al nome Forza Italia. Non per vincere, ma nella speranza che nessuno vinca. Non per governare, ma per contribuire alla scelta di chi dovrà farlo.
E poiché un suo vecchio vizio è quello di «verificare» i sondaggi con uscite estemporanee, ecco spiegato il senso del riferimento alla resurrezione di FI fatto nelle pieghe dell’intervista alla tedesca
Bild. Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl, la mette così: «L’ha detto, non c’è dubbio. Berlusconi ha detto che intende rifare Forza Italia e quando i big dell’ex An si sono ribellati l’ha smentito». Ma ad invitarlo ad una rettifica è stato anche Angelino Alfano, che è pur sempre, almeno formalmente, il segretario. «Il Pdl è nato da una straordinaria intuizione. Non è un problema di nomi ma di sostanza su cui dovranno pronunciarsi i più alti organismi del partito», ha dichiarato. Musica per le orecchie di Gasparri, certo che, «come i ritrovi degli ex compagni di classe, dopo l’entusiasmo iniziale anche per gli elettori il ritorno a FI sarebbe una tristezza».

«SIAMO

in fase confusionale e Berlusconi è il primo a non sapere che pesci prendere: in queste condizioni, tutto è possibile», sospira Napoli. Anche che il Pdl esploda e rinascano una specie di FI e una sorta di An. Ignazio La Russa ci lavora da tempo, ma in maniera strumentale. «Andrà a fondo solo se Berlusconi lo costringerà», dicono. Anche perché non tutti lo seguirebbero. «Ai miei amici ex An dico che non sono disponibile a dare vita ad altri partiti», taglia corto Matteoli. Il resto è teatro. Con La Russa che definisce «inaccettabile» l’involuzione semantica del Pdl in FI, Alemanno che invoca le primarie senza crederci e i due terzi della classe dirigente del partito che non avendo il coraggio di prendere di petto il Capo si accanisce sulla sua bella al grido di: «La Minetti deve dimettersi!». Come se fosse davvero lei il problema del Pdl.