Nuccio Natoli
ROMA
«NON

sono eque la maxitasse per i fuoricorso»; «oggi sarebbe un tradimento suggerire ai giovani di andarsene all’estero». Pier Luigi Celli, direttore generale dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, non è uomo che tema di andare controcorrente.
Che cosa non la convince sui fuoricorso?
«E’ una regola che non distingue. Non è equo mettere sullo stesso piano chi va fuoricorso perché è uno studente lavoratore o ha gravi problemi familiari o di salute, rispetto a chi se la prende troppo comoda».
Il problema del numero eccessivo dei fuori corso è reale.
«E’ una parte del problema. Quello di fondo è che da noi l’età media della laurea supera i 27 anni, mentre nel resto d’Europa è intorno i 24 anni».
E allora…
«Va bene affrontare il nodo dei fuori corso, va bene disincentivare i pigri, non va bene, anzi è un errore, fare d’ogni erba un fascio».
Lei che ricetta suggerirebbe?
«Va riorganizzato tutto il sistema universitario. Oggi l’università è strutturata sulla figura del professore e dimentica lo studente. Tutto nasce dalla netta separazione tra la parte amministrativa e quella didattica. Ciascuno pensa solo alla sua parte, e allo studente non pensa nessuno».
Anche alla Luiss i fuoricorso pagano una retta più salata...
«E’ vero, ma da noi gli studenti sono seguiti passo passo dalla struttura amministrativa. Se qualcuno non dà esami per più di due sessioni consecutive, lo chiamiamo e cerchiamo di capire perché. Per ogni caso adottiamo una decisione ad hoc».
Le tasse ferme per i più studiosi non è un modo per riconoscere il merito?
«Attenzione, è un grave errore l’assioma che il merito si misuri solo in base al risultato. Il successo non è detto che equivalga a merito. Bisogna guardare anche a come si raggiunge il successo».
Tre anni fa lei suggeriva ai giovani di andare all’estero. Lo pensa anche ora che la crisi sta colpendo un po’ in tutti i paesi?
«No, oggi lo considererei un tradimento. Oggi vanno chiamati alle armi tutti gli strati sociali, la politica, le associazioni imprenditoriali. Va capito che ci stiamo giocando non solo il futuro dei giovani, ma quello dell’intero Paese e non possono esserci defezioni».
Tre anni fa non era più o meno la stessa cosa?
«C’è la crisi economica, ma c’è anche un clima meno pesante sul fronte etico e morale. Oggi è auspicabile che soprattutto i giovani migliori restino e diano una mano. Ne abbiamo grande bisogno».
Molti giovani, però, continuano ad andarsene.
«Per forza, da noi la flessibilità si è tradotta in precariato per di più con retribuzioni molto basse. Anche all’estero c’è precariato, ma per i migliori le retribuzioni sono di due o tre volte superiori».
La riforma del lavoro può cambiare la situazione?
«Credo che la riforma del lavoro non abbia risolto quasi nulla. E, purtroppo dobbiamo chiederci: quante imprese non riapriranno a settembre?».