Città del Vaticano, 14 agosto 2012 -  Il maggiordomo del Papa va a processo per il furto delle carte riservate di Benedetto XVI. Arrestato il 24 maggio, ai domiciliari dal 21 luglio, solo ieri, i giudici vaticani hanno rinviato a giudizio Paolo Gabriele per un processo che si celebrerà in autunno. La decisione era scontata, ma nella sala stampa vaticana – affollata di giornalisti di diversi paesi del mondo nonostante l’approssimarsi del Ferragosto – non sono mancati i colpi di scena, a partire da un assegno da 100mila euro e una pepita d’oro trovate dai gendarmi vaticani a casa del ‘corvo’ di Vatileaks.

Con l’assistente di camera del Pontefice è stato rinviato a giudizio Claudio Sciarpelletti, un tecnico informatico che lavora presso la segreteria di Stato vaticana. In tutti i mesi dell’indagine la Santa Sede è riuscita a nascondere l’esistenza di un secondo indagato. E invece il dipendente vaticano, cittadino italiano, è stato arrestato in una cella dello Stato pontificio per una notte all’inizio dell’inchiesta, il 25 maggio, ed è imputato, ora, per favoreggiamento del furto. Il suo ruolo è ancora poco chiaro. In un caso ha affermato che la busta trovata nella sua scrivania, piena di documenti segreti, gliel’aveva data Paolo Gabriele, in un altro ha detto che doveva invece consegnarla a Gabriele.

Dalle carte processuali spunta, poi, la figura del padre spirituale del maggiordomo. Si tratta di un sacerdote al quale il ‘corvo’ avrebbe consegnato una copia dei documenti fotocopiati proditoriamente e – resosi conto della gravità della cosa – li avrebbe poi bruciati. Più persone, insomma, in Vaticano erano a conoscenza dell’attività truffaldina del maggiordomo.

Nella requisitoria del ‘promotore di giustizia’ Nicola Picardi (il pm vaticano) e nella sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, poi, emerge una personalità problematica. Di ‘Paoletto’, come era chiamato affettuosamente in Vaticano, si sapeva che ha 46 anni, è sposato ed ha tre figli. Ora si apprende che due psicologi — che non sono giunti a un’opinione unanime — hanno condotto una perizia psichiatrica dalla quale emerge una «personalità fragile» con un «senso di grandiosità» e «un personale ideale di giustizia».

Proprio un malinteso desiderio di denunciare pubblicamente la corruzione che ha visto in Vaticano lo avrebbe spinto a contattare il giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del bestseller ‘Sua Santità’ in cui sono pubblicati una parte dei documenti riservati. «Ero sicuro che uno choc, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario», ha detto ai magistrati, spiegando di sentirsi un «infiltrato» dello Spirito Santo nella Chiesa. Ad aggravare la situazione processuale del maggiordomo papale anche la scoperta, a casa sua, di un assegno intestato a Sua Santità Benedetto XVI relativo a una somma di 100mila euro (ma il suo avvocato ha precisato che il maggiordomo non era consapevole di esserne in possesso), di una pepita d’oro e di un libro prezioso, una traduzione dell’Eneide di Annibal Caro del 1581.