Giovanni Panettiere
ROMA
CHISSÀ

se davvero ci crede Samaras, quando si augura che il suo tour europeo possa servire a calmare le acque intorno alla Grecia. La settimana scorsa ha incontrato Merkel, Hollande e Juncker, ascoltando sempre la stessa musica: Atene deve rimanere nell’eurozona, ma niente proroghe, almeno fino a quando, ad ottobre, la Troika presenterà il rapporto sul Paese. Per ora la Grecia deve presentare i compiti a casa (11,5 miliardi di risparmi in cambio di un pacchetto di aiuti da 130 miliardi) entro e non oltre il 2014. Frau Merkel non si scompone nemmeno davanti ai falchi di Vienna che ieri, per bocca del premier Werner Faymann, si sono detti pronti a concedere due o tre anni in più ad Atene.
Tanto per non far dimenticare a Samaras la lezione impartita a voce, la cancelliera ha ribadito la linea teutonica ai microfoni della tv tedesca Ard, nella consueta intervista estiva. «Sulla Grecia attendiamo il responso della Troika — ha detto —. D’ora in avanti ogni giorno conta perché Atene incrementi davvero gli sforzi e realizzi quanto ha promesso». Per la Grecia «c’è ancora molto da fare», anche se l’esecutivo di Samaras sta rafforzando gli sforzi per uscire dal binario morto. Quanto basta, insomma, alla cancelliera per zittire gli alleati interni della Csu che continuano a speculare sull’uscita del Partenone dalla moneta unica. «C’è molto in gioco, quando parliamo della Grecia. Vanno dosate le parole», è l’avviso ai naviganti firmato Angela.

IN QUESTO


scenario di incertezze sul destino di Eurolandia si apre oggi una settimana decisiva per i mercati finanziari del Vecchio continente che si sono lasciati alle spalle, per la prima volta da giugno, sette giorni chiusi in rosso. Soprattutto il mercoledì è da cerchietto rosso: a parte l’incontro Merkel-Monti, l’attenzione è per il collocamento di Bot a sei mesi da 9 miliardi di euro. Tensione a mille, quindi, ma ieri a rendere ancora più elettrica l’attesa per la riapertura dei mercati ci ha pensato la Bundesbank di Jens Weidmann. Che è tornato a calzare l’elmetto per bocciare, ancora una volta, Mario Draghi e l’ipotesi di acquisto, da parte della Bce, di titoli sovrani dei Paesi in crisi. «Non è compito della Banca centrale europea — ha incalzato — garantire la permanenza di un Paese nell’Eurozona a qualunque costo. Finanziando uno Stato in crisi si corre il rischio di creare una dipendenza come da una droga». Weidmann ha anche dichiarato che un’eventuale mossa della Bce sui mercati equivarrebbe «a un finanziamento degli Stati con una stampatrice di banconote» e ha definito «scabrosa» l’idea che sia Francoforte «a stabilire i tassi sul bond. Sul punto non sono l’unico ad avere mal di pancia». L’affondo è arrivato alle orecchie della Merkel. Ma la cancelliera, poco preoccupata del clima a Francoforte, pur sottolineando «l’indipendenza e il buon operato della Bce», ne ha ricordato «il mandato limitato». Aggiungendo «è una cosa buona che Weidmann abbia molta influenza nel board».