ROMA, 18 settembre 2012 - ER BATMAN, er Bucia, er Pecoro Dolly... I non romani si incuriosiscono di fronte ai pittoreschi soprannomi del pidiellino laziale Franco Fiorito e dei suoi amici. Li ricollegano al Libanese, al Dandi, al Freddo e gli altri protagonisti della banda della Magliana, resi celebri da cinema e tv. Ma non è corretto. Loro, i gangster ‘veri’, i soprannomi se li scelsero da soli e lo fecero nel rispetto della splendida idea che avevano di sè. Fiorito e gli altri se li sono invece ritrovati cuciti addosso secondo l’arciromana tradizione di fare del punto debole di un uomo la sua maschera pubblica e in fondo il suo elemento di forza.
L’imperatore Tiberius, noto amante del vino, era detto Biberius. E lo spirito irriverente di chi poco meno di duemila anni fa gli affibbiò il nomignolo rivelatore sopravvive tutt’oggi: dopo essere caduto da una moto ferma, Franco Fiorito fu ribattezzato Batman; Alessandro Cardinali, la sua ombra, quasi il suo clone, fu perciò detto Pecoro Dolly; il noto conflitto tra l’ex assessore Giuseppe Viti e qualsiasi tipo di verità portò i suoi amici a riferirsi a lui come al Bucia (in romanesco, la ‘g’ suona ‘c’)...

A ROMA
, funziona così. Perché, come disse a brutto muso una dirigente Rai al neodirettore generale Flavio Cattaneo che s’illudeva di portare l’ordine milanese in un’Azienda che più romana non potrebbe, «allora nun hai capito: qui semo a Roma, e so’ duemila anni che conviviamo con la Chiesa...».

DISCENDE da questa forzosa convivenza col potere ecclesiastico (oltre che, dal 1870, col potere politico e burocratico tipico di ogni capitale) una certa scafatezza nei modi, un sottile ed inesorabile sarcasmo, un’arroganza bonaria, una naturale tendenza a dire una cosa intendendone un’altra e sempre giocando sul filo del paradosso. Ex fascisti ed ex andreottiani (molto spesso, la stessa cosa) ne sono stati e in parte ancora ne rappresentano l’epifenomeno. Su tutti svettava Vittorio Sbardella detto lo Squalo, amico e sodale politico di Nicola Signorello detto Pennacchione, di Raniero Benedetto detto er Serpente, di Mario Gionfrida detto er Gatto, di Antonio Gerace detto er Lupetta, di Pietro Giubilo detto er Monaco...

TUTTA GENTE che sul presupposto del peccato orginale ha costruito spavalde carriere, perché, come disse Sbardella a un cronista dell’Unità che lo incalzava, «ahò, io so’ cattolico, mica santo!». E santi non erano neanche gli sbardelliani. Da un’intercettazione dell’allora assessore Arnaldo ‘Gasparone’ Luciani, sbardelliano, al telefono con un imprenditore: «Fino ad ora con chi avete parlato di politica? A chi rispondete? Non avete mai risposto a nessuno? E come mai? Fino adesso non avete fatto un cazzo?».

SEGUE, per cambiare l’infruttuoso trend, richiesta del 10% d’un certo affare. Nessuna paura, molta arroganza. Perché se è vero che tra gli uomini i politici sono i soli a non aver coscienza della propria mortalità, i politici romani a ciò sommano la presunzione dell’immunità assoluta, tanto alte sono le loro sponde nel potere politico e vaticano. «Dio mi perdonerà, è il suo mestiere», disse con citazione colta lo Squalo poco prima di morire. A Batman la battuta piacque assai.