Achille Perego
MILANO
NESSUNO

possiede la sfera di cristallo per dire che cosa sarebbe oggi la Fiat se al volante, in questi ultimi otto anni, non ci fosse stato Sergio Marchionne. Ma guardando i numeri di oggi e quelli del giugno 2004 quando il 60enne top manager con il maglione venne nominato ad (scelto da Umberto Agnelli poco prima di morire) c’è da dare ragione al professor Aldo Enrietti, grande esperto di automobili. Ovvero che senza il miliardo e mezzo di utili previsti nel 2012 dalla Chrysler, il secondo miracolo di Marchionne, forse saremmo già qui a celebrare il funerale della Fiat. All’inizio del Duemila, la Fiat viaggiava in profondo rosso e sull’orlo del fallimento. Nel 2003 aveva perso 2,3 miliardi. Ne aveva 23 di debiti lordi e vendeva 1,7 milioni di auto, quasi nessuna in America.

IL PRIMO MIRACOLO

di Marchionne fu ridare agli Agnelli la fiducia nell’auto. E così la Fiat non finì preda degli americani di Gm. Con l’accordo di San Valentino 2005 Marchionne sciolse i patti con Gm e incassò 1,5 miliardi. Da lì cominciò la riscossa, i nuovi modelli (e l’euforia nel 2007 per la nuova 500), il ritorno all’utile. E poi la scommessa americana, con la benedizione di Obama e i prestiti (12,5 miliardi di dollari) del Tesoro Usa per salvare la Chrysler.
In Italia in questi anni di soldi pubblici ne sono arrivati molti meno perché i 7,6 miliardi di euro di aiuti che lo Stato, secondo la Cgia di Mestre, avrebbe inviato dal 1977 a Torino risalgono in gran parte all’era pre-Marchionne. Del resto con lui, di casa a Detroit, la Fiat ha cambiato il suo Dna. In otto anni ha raddoppiato le dimensioni, nel 2011 ha guadagnato 1,7 miliardi (poco più di 700 nei primi sei mesi di quest’anno), vende 4 milioni di auto (metà in Usa e Canada e un altro quarto in Brasile) e con quel che guadagna in America e Brasile compensa le perdite (700 milioni) in Europa. Un aspetto (la gestione dell’erosione della cassa grazie alle vendite extra Europa) rilevato anche dall’agenzia Fitch nel confermare il rating a lungo termine di Fiat a “BB” con outlook però negativo.

DEL RESTO


non aver lanciato, con la crisi del mercato, nuovi modelli, spiega Marchionne, ha permesso a Fiat di mantenere la solidità finanziaria fatta anche di 23 miliardi di liquidità. Nel terribile mercato europeo c’è chi sta molto peggio anche avendo rinnovato la gamma. Gm sopporta da ben 14 anni un’Opel in perdita (quasi 1 miliardo nel 2012) e persino la Ford con la sua filiale europea dovrebbe accusare un rosso di 2 miliardi. E che dire di Peugeot-Citroen che starebbe bruciando 7 milioni al giorno. Ma non si vive di sola finanza. Serve anche l’industria. Otto anni fa Fiat produceva in Italia il doppio delle attuali 450mila auto, con una capacità rimasta tripla. A Mirafiori c’erano cinque linee per sette modelli. Oggi c’è solo la Mito. Ed è proprio il rilancio dell’auto made in Italy, con gli investimenti, che tutti adesso chiedono a Marchionne. Sarebbe, se lo facesse per davvero, il suo terzo miracolo.