CITTÀ DEL VATICANO
«DURANTE
gli anni del suo servizio non ho mai avuto ragione di dubitare del suo operato». Ma quando ha letto il libro ‘Sua Santità’ di Nuzzi, il dubbio e il sospetto si sono presto concretizzati. In quel libro c’erano due lettere mai uscite dal suo ufficio. Lo ha detto monsignor Georg Gaenswein, segretario del Papa, testimoniando ieri al processo contro l’ex maggiordomo del Papa. Talare nera ma priva della fascia rossa che è solito indossare, i movimenti di chi non si trova proprio a suo agio ma con l’espressione resa dolce da un sorriso: padre Georg ha parlato per circa 35 minuti. Ha giurato sul vangelo, poi ha risposto alle domande. E per tutto il tempo non ha rivolto un solo sguardo all’imputato, che invece si è alzato in piedi all’entrata del segretario del Papa.

«CI SONO STATE

due lettere originali, una del giornalista Bruno Vespa indirizzata a me e una di un direttore di banca milanese anche indirizzata a me — ha spiegato il segretario del Papa — . Questi documenti non sono mai usciti dal mio ufficio, non sono andati ad altri dicasteri, ne avevo solo riferito al Papa verbalmente. Questo ha sollevato in me il sospetto che fossero stati fatti uscire proprio dalla mia stanza». Perciò, ha continuato padre Georg, nella riunione con la famiglia pontificia del 21 maggio, ha messo l’ex maggiordomo con le spalle al muro: «Ho detto a Gabriele che avevo sospetti ma mai pensavo in quel momento alle cose molto più gravi, come quelle di cui mi sono reso conto potendo vedere successivamente le carte sequestrate dalla Gendarmeria» nella casa dell’ex maggiordomo.
A Gabriele proprio padre Georg aveva accordato la massima fiducia, fino a dargli tavolo e computer nell’ufficio dei segretari del Papa, affidandogli mansioni ben superiori a quelle di un cameriere. Gabriele rendicontava alla Segreteria di Stato i doni consegnati al Pontefice e rispondeva alle lettere di accompagnamento degli stessi. Ma non aveva accesso all’archivio personale del Papa, custodito da suor Brigitte. Paolo, ha chiarito padre Georg, ha fotocopiato i documenti mentre erano di passaggio nella stanza dei segretari ed è stato identificato pesche alcune carte non erano mai uscite dall’ufficio che ha una porta comunicante con lo studio privato di Benedetto XVI.