CITTÀ DEL VATICANO, 3 ottobre 2012 - Pentito, ma senza ritenersi colpevole. Il maggiordomo del Papa si è presentato così all’udienza-clou del processo per furto aggravato dei documenti riservati. Paolo Gabriele è arrivato all’appuntamento con una mise impeccabile: completo grigio chiaro, cravatta scura, tranquillo. Unico segno di agitazione quando è entrato nell’aula il segretario personale di Benedetto XVI, quel monsignor Georg Gaenswein che alla fine lo ha consegnato alla giustizia: «Paoletto» si è alzato in piedi quando il prelato tedesco è entrato, si alzato nuovamente quando è uscito, ha cercato il suo sguardo, senza essere ricambiato.

«Mi dichiaro innocente. Mi sento colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre, che io sento di amare come un figlio», ha detto Gabriele. Una dichiarazione delirante se non fosse che l’ex assistente di camera del Pontefice, venuto a sapere di vicende per lui torbide del Vaticano, ha pensato di fare il giustiziere. «Nella posizione in cui mi trovavo vedevo certe situazioni come le viveva il popolo e come, invece, si vivevano ai vertici di potere», ha detto. «Mangiando a tavola con il Papa avevo l’occasione unica, privilegiata, di scambiare idee con lui e ho maturato la convinzione che è facile manipolare una persona che ha un potere decisionale così importante. A volte il Papa faceva domande su cose di cui avrebbe dovuto essere informato». E non lo era.

Paolo Gabriele ha precisato di non avere avuto complici, ma di essere stato «suggestionato dall’ambiente». Lavorava in Vaticano dal 1997, conosceva tanta gente, parlava con uscieri, passanti, monsignori e cardinali. «Era molto suggestionabile, è impossibile che abbia agito da solo», ha detto Tonino Cantelmi, psicologo che gli ha fatto una perizia psichiatrica. Lui ieri ha raccontato in aula: «La situazione era divenuta insopportabile, in Vaticano c’era sconcerto ad ampio raggio». Poi, incalzato dal pm Nicola Picardi, ha fatto anche alcuni nomi.

«Padre Giovanni», confessore al quale ha consegnato una fotocopia di tutte le carte riservate che aveva raccolto. Due cardinali, Angelo Comastri, vicario del Papa per la basilica di San Pietro, Paolo Sardi, ex ghostwriter di Benedetto XVI. Ingrid Stampa, la governante di Ratzinger all’epoca in cui era cardinale. Monsignor Francesco Cavina, oggi vescovo di Carpi ma fino al 2011 funzionario della segreteria di Stato. Poi «il dottor Mauriello» e tal Luca Catano, che lo hanno informato su alcuni problemi della gendarmeria vaticana.

Paolo Gabriele ha detto che queste persone non erano suoi «collaboratori» nell’operazione di diffusione delle notizie, ma non ha chiarito in che modo lo avrebbero influenzato. Al processo ieri hanno testimoniato anche due gendarmi che gli avevano perquisito casa, una delle ‘memores domini’ che curano la casa del Papa, Cristina Cernetti, e poi il segretario del Papa. Oggi nuove testimonianze, poi, salvo colpi di scena, il processo si concluderà in settimana con una condanna. E, probabilmente, con la grazia del Papa.

di Iacopo Scaramuzzi