Alessandro Farruggia
ROMA
«SE IL PARTITO

me lo chiede...». Il giorno dopo il gran rifiuto di Walter Veltroni — una scelta in polemica contro l’idea stessa della rottamazione renziana — Massimo D’Alema mette i puntini sulle ‘i’. Se big del partito come Livia Turco, Franco Marini, Pierluigi Castagnetti e Giovanna Melandri hanno fatto sapere che non si ripresenteranno, D’Alema (e come lui, per ora, Rosy Bindi e Anna Finocchiaro) non ci sta.
«La mia disposizione è a non candidarmi — dice il presidente del Copasir — e posso semmai correre se il partito mi chiede di farlo. Certo, le ragioni del mio impegno politico sono rafforzate dal sostegno e dalla solidarietà di centinaia di intellettuali, sindaci e accademici: sono loro che mi difendono». L’appello dei 700 pubblicato ieri dall’
Unità è un chiaro segnale in quel senso. Che poi qualcuno dei 700, Antonio Placido, sindaco di Rionero in Vulture (Potenza), si chiami fuori perché «io sto con Sel e non ho firmato», per D’Alema cambia poco: nel partito c’è ancora chi lo ama. E a rafforzare la sua convinzione che non è affatto detto che faccia come Walter, le dichiarazioni di Renzi di ieri, («ho aperto una breccia. Sono sicuro che Veltroni non sarà l’unico»). Che gli guastano l’umore. Al punto che D’Alema rafforza il concetto: me ne sarei andato da solo, non se qualcuno pretende di rottamarmi.
«L’idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si devono togliere di mezzo — osserva — è un’evidente distorsione. Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia». Per una volta Veltroni gli dà ragione. «La mia scelta — dice l’ex segretario del Pd — non implica che lo devono fare gli altri. Questa è una semplificazione che fa parte di quella categoria, la rottamazione, che non amo particolarmente». E con lui la Melandri, e Follini. «Non penso che la prossima legislatura apparterrà ai dinosauri — osserva Marco Follini — però, non posso pensare che il trionfo dell’improvvisazione e l’archiviazione dell’esperienza sia salvifico».
Certo, verrà presto il tempo delle scelte e non solo sul fronte delle candidature. Ieri infatti è tornato a bussare alla porta del centrosinistra Antonio Di Pietro, che ha inviato una lettera a Bersani, Vendola e Nencini per ottenere «un incontro ed evitare che le divisioni interne al centrosinistra possano riportare al governo un centrodestra berlusconiano» e chiedere di partecipare alle primarie «pur senza esprimere candidati». Non meno delicata la questione Vendola che è stato netto: «O si fa l’alleanza con me o quella con Casini». Come questo si concili con la ‘Carta d’intenti’ siglata giusto sabato dai tre leader (e già disattesa da Vendola e, sul fronte riformista, dal candidato Bruno Tabacci) è un rebus che il segretario (che ieri ha incassato il sostegno di 2000 tra sindaci e amministratori) sarà chiamato a risolvere.