Gilberto Dondi

BOLOGNA, 25 giugno 2012 - «LA ZOIA»nel Pd la conoscono tutti. È temuta, rispettata. Già, perché Zoia Veronesi è l’ombra del capo, Pier Luigi Bersani. Il segretario si fida ciecamente della sua segretaria storica, che lo segue ormai da anni. Ieri il pm Giuseppe Di Giorgio ha mandato alla Veronesi un avviso di garanzia, invitandola per un interrogatorio che si terrà in Procura a Bologna nei prossimi giorni. L’accusa è truffa aggravata ai danni della Regione Emilia-Romagna e, di questi tempi, è un addebito pesante come un macigno. Secondo il magistrato e la Guardia di finanza, la Veronesi dal giugno 2008 al marzo 2010 avrebbe percepito indebitamente dalla Regione la bellezza di 140mila euro come dirigente, quando in realtà svolgeva appunto la funzione di segretaria di Bersani, a Roma. Dunque, secondo gli inquirenti, i soldi per lei li doveva sborsare il Pd, non i contribuenti.
La notizia ieri mattina è esplosa come una bomba mentre Bersani si trovava a colloquio con il premier Mario Monti a Roma. Per il segretario Pd non poteva esserci periodo peggiore, a un mese dal voto per le primarie. Nel tardo pomeriggio, Bersani si è limitato a dire poche parole: «Visto che c’è un esposto, ancorché di Raisi, è giusto che la magistratura accerti. Sono comunque sicuro che le cose siano state fatte per bene».

IN EFFETTIl’inchiesta è nata nel marzo 2010 da un esposto presentato dal deputato Fli (ex An) Enzo Raisi e dal consigliere comunale Pdl Michele Facci. I due denunciavano diverse vicende che riguardavano incarichi e consulenze in Regione. Fra queste, l’incarico di Zoia Veronesi. La quale, dipendente regionale dagli anni ’90, era stata segretaria di Bersani dal ’96 al 2001 (distaccata per comando) e nel biennio 2006-2008 (in aspettativa), quando lui era ministro dei governi Prodi.
Il problema nacque appunto nel 2008, quando la Regione la nominò «dirigente professional» (pur essendo senza laurea) con un incarico ad hoc di «raccordo con le istituzioni centrali e con il Parlamento». In sostanza, doveva tenere i rapporti fra Bologna e Roma.
La finanza ha cercato riscontri di tale attività, ma non li ha trovati, salvo una autocertificazione che faceva annualmente lei stessa.

Per l’accusa, ha sempre continuato a lavorare solo per Bersani, pagata però dalla Regione: 130mila euro di stipendio, più 12-13mila di rimborsi (compresi i viaggi) per le missioni nella capitale. L’indagata però non ci sta: «Lavoravo per la Regione, i riscontri ci sono. Poi, nei ritagli di tempo, fuori dalle 36 ore previste, collaboravo alla segreteria di Bersani. Nel tempo libero faccio ciò che voglio. Che male c’è?».