Erik Jones*
LA POLITICA
estera conta relativamente poco nella sfida tra Obama e Romney, eppure l’esito del loro duello avrà conseguenze significative su come gli Stati Uniti interagiscono con le altre nazioni. Le linee guida della politica estera Usa non cambiano molto a seconda del colore dell’amministrazione. Non importa chi controlla la Casa Bianca: gli alleati restano alleati e le sfide rimangono sfide. Anche gli strumenti della politica estera americana e la rete di trattati e impegni internazionali rimangono più o meno gli stessi. Per questo, l’influenza di una nuova amministrazione si esercita di più su quella che gli americani chiamano ‘leadership’ - e che altri definiscono ‘stile’ - rispetto alla sostanza.
Lo stile è importante. Pochi nel mondo dubitano che gli Stati Uniti siano la prima potenza economica e politica a livello mondiale. Il problema è ciò che il prossimo presidente farà con queste risorse. La scelta tra i due contendenti è netta. L’amministrazione Obama ha lavorato duramente per sviluppare uno stile di leadership più consensuale. Come Obama ha spiegato nel discorso del 28 marzo 2011, in cui giustificava il sostegno della sua amministrazione all’intervento europeo in Libia, a volte di essere un ‘leader’ significa di più aiutare i propri alleati ad assumersi i loro oneri e responsabilità, piuttosto che fare quello quello che ti pare a prescindere dalle conseguenze. Per questo ha offerto di mettere le capacità uniche dell’America a sostegno delle operazioni guidate dall’Europa.
I critici delle scelte di Obama sulla Libia all’interno del partito repubblicano si sono lamentati del fatto che il presidente avrebbe dovuto mostrare più intraprendenza. Inizialmente hanno affermato che avrebbe dovuto mettere tutto il suo impegno per rovesciare la dittatura libica e poi - una volta che il sostegno di Obama all’intervento era diventato chiaro - hanno criticato l’amministrazione, sia per non aver giocato il ruolo da protagonista nelle operazioni sia per essere stati coinvolti nella guerra. Le contraddizioni tra le due posizioni sono irrilevanti. L’aspetto che unisce queste critiche sulla politica estera di Obama è che sono incentrate sullo stile. I repubblicani ritengono che la leadership americana significhi che il presidente dovrebbe sempre essere colui che si assume tutte le responsabilità. Il governatore Romney ha più volte affermato questo punto di vista con grande enfasi.

SE ELETTI



, sia Obama che Romney farebbero del loro meglio per difendere gli interessi americani all’estero. Per questi motivi, l’elettorato Usa ha ragione a non considerare troppo la politica estera nella scelta del prossimo presidente. Tuttavia, mentre Obama ha lavorato duramente per coltivare un modello di leadership che coinvolge i partner, l’America di Romney sarebbe più incline a farsi valere con la forza e a compiere scelte da sola. Una strategia del genere, ovvero molto più decisa, sarebbe molto meno gradita agli alleati dell’America e meno efficace nel rispondere alle sfide globali. Inoltre, produrrebbe un grande spreco delle risorse americane. Per tutti questi motivi, il presidente Obama offre una visione più sostenibile della leadership americana a livello globale.
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Direttore di Studi Europei, Johns Hopkins University School of Advanced International Studies (SAIS). Direttore, Bologna Institute for Policy Research