ROMA
NONOSTANTE
il pressing informale del capo dello Stato e quello esplicito del governo, che col sottosegretario D’Andrea ieri auspicava «vivamente che la riforma venga approvata», la nuova legge elettorale è finita in un buco nero. E infatti il voto d’aula previsto per oggi, grazie anche all’arrivo del decreto sviluppo è stato rimandato.
Che sui cieli del Senato il tempo volgesse al brutto, si è capito quando il leghista Calderoli, autore della legge da riformare e da qualche settimana vero mediatore tra Pdl e Pd, ha gettato la spugna. «Posso salvare un ferito, non resuscitare un morto», ha detto. Segue previsione: «Il Porcellum vedrà non solo il panettone ma anche l’uovo di Pasqua». Secondo il leghista, e secondo molti, si finirà dunque per votare col vecchio sistema. A spingere Calderoli verso la resa, anche il fatto che in commissione Affari costituzionali il Pdl non abbia adeguatamente sostenuto un suo emendamento per inserire nel testo della nuova (ipotetica) legge elettorale il principio dell’election day. Non l’ha presa bene: «Sono dei pagliacci, e i pagliacci vanno bene nel circo, non al Senato!».

AGGETTIVI


a parte, il concetto di un Pdl sbandato e mosso da spinte contraddittorie è trasversale. Pier Luigi Bersani: «Non sappiamo quali siano le loro intenzioni politiche, ci facessero la cortesia di dircelo». Sempre dal Pd, rilancia Stefano Ceccanti: «Non si sa più con chi parlare è una guerra tra bande». Immagine forte, ma non priva di un fondo di verità.
Allo stallo di ieri si è infatti giunti dopo che Silvio Berlusconi ha preteso un nuovo rilancio sull’accordo di fatto già chiuso con Pd, Lega e Udc nei giorni scorsi. Si sa che l’ex premier, che oggi ne discuterà con i vertici del Pdl, è contrario alla riforma poiché il Porcellum, riservandogli l’ultima parola sulle candidature, gli consentirebbe di tenere in scacco il partito. Quanto alle preferenze, servivano per facilitare l’alleanza con l’Udc, ma poiché l’alleanza è sfumata, si tradurrebbero in un puntello agli ex An. E dal momento che anche Bersani ha tutto l’interesse a votare con le attuali regole, è bastato che Quagliariello ipotizzasse nuovi criteri per assegnare il premio di maggioranza (bonus alla coalizione che raggiunge il 40% dei voti o 50 seggi fissi al primo partito che oscilli tra il 25 e il 39%) per spingere i democratici sulle barricate. Anche se si è trattato di una semplice proposta verbale, mai tradotta in emendamento. «Far saltare un accordo per avere tre o quattro seggi in più sarebbe il colmo», ha commentato Quagliariello. Il quale, con Alfano, appartiene a quella parte maggioritaria del Pdl che un accordo vorrebbe chiuderlo. Anche per non consegnarsi armi e bagagli al Cavaliere. Se ne è parlato durante una lunga e travagliata riunione serale del gruppo piediellino del Senato. Da cui si è capito che il grosso dei senatori intende proseguire nella trattativa. Anche perché, come dice Andrea Augello, se no «chi glielo va a spiegare alla gente che noi ci mettiamo di nuovo nelle segrete stanze a decidere chi candidare?».

NESSUNO


vuole rimanere col cerino acceso in mano. Nessuno intende inverare l’immagine evocata ieri da Casini, cioè un voto d’aula da cui risulti chiaro «chi ha voluto tenersi il Porcellum». Lo scenario più diffuso è dunque quello che vuole nuove norme passare al Senato e finire impallinate alla Camera grazie al voto segreto. Beppe Grillo già si frega le mani. E infatti ieri ieri strillava contro «un emendamento bipartisan fatto apposta per escludere» il suo movimento. Per la verità, l’emendamento chiedeva solo che i partiti si dotassero di un vero statuto.
a. can.