Pier Francesco De Robertis
ROMA
I MALIGNI

dicono che il vero inizio del governo Monti non fu il 16 novembre 2011, ma qualche mese prima, nell’agosto dello stesso anno, quando da Francoforte partì all’indirizzo di Roma la famosa «lettera della Bce», con la quale Trichet e Draghi chiedevano all’allora governo Berlusconi una serie di riforme lacrime e sangue da approvare «per decreto entro il settembre 2011». Umberto Bossi lo disse subito: «È stata scritta a Roma, è un tentativo di far cadere il governo», alludendo al (sospetto) ruolo giocato in quel frangente dagli ambienti della tecno-finanza e dell’alta borghesia industriale del Paese.
Ma i maligni si sbagliavano. Perché a guardarla adesso, quella lettera, e soprattutto a confrontarla con quanto realmente realizzato dal «governo dei tecnici», le somiglianza sono poche. L’unica riforma chiesta dalla Bce e poi effettivamente realizzata è stata quella delle pensioni; delle altre c’è traccia solo nelle intenzioni del governo e nei decreti legge presentati in Parlamento, meno nei provvedimenti effettivamente licenziati dalle Camere.

UNO


dei ministeri-chiave di questi undici mesi è stato come previsto quello del Welfare. Lì Monti chiamò una (allora) semi-sconosciuta professoressa piemontese, Elsa Fornero, che balzò agli onori del grande pubblico quando il 4 dicembre 2011 in occasione della presentazione del primo decretone del governo - il «Salva-Italia» - scoppiò in lacrime in diretta tv. Ed è al nome della Fornero che è legata la sola vera riforma dell’esecutivo Monti. Una riforma che ha rimesso in equilibrio il sistema e che ha però prodotto il caos esodati, ancora non risolto, e a cui il nome Fornero sarà sempre associato. Una riforma invisa soprattutto dalla sinistra, ma che sull’onda dell’emergenza finanziaria internazionale riuscì in qualche modo a passare. Erano i primi mesi del 2012.
Poi arrivarono le delusioni. Al Salva-Italia si aggiunse quasi subito il «Cresci-Italia». Era il 20 gennaio, e il governo in quel modo cercò di imboccare il contropiede della crescita e di rispondere alle tante accuse di praticare solo politiche restrittive contenute nel Salva-Italia, che insieme alle pensioni avevano reintrodotto (estendendolo) anche l’Imu, e alzato l’Iva. Nel «Cresci-Italia», il cui regista fu il super-ministro Corrado Passera, il governo varò una serie di liberalizzazioni: farmacie, professioni, grandi reti industriali. Come chiedeva appunto la lettera della Bce.

MA IL CAMMINO


del decreto dovette subire un vero e proprio Vietnam parlamentare e nel corso di interminabili riunioni notturne fu in buona parte svuotato dall’azione di una serie di lobby bipartisan. Più o meno stessa sorte all’altra riforma varata dal governo, quella del Lavoro, che subito incontrò la netta opposizione della Cgil e che alla fine risultò ampiamente depotenziata. La Camusso aveva ingoiato le nuove pensioni, non era disposta a subire anche la cassazione dell’articolo 18. Il pressing sul Pd fu fortissimo, e lo stesso fece a sua volta il Pd sul governo. Epilogo: un nulla di fatto, o quasi.
Sul fronte della lotta alla spesa pubblica i risultati sono stati modesti, nonostante la nomina (maggio 2012) di una serie di figure ad hoc, come il commissario alla spending review Enrico Bondi. Nulla di fatto anche per l’attività di altri commissari: Giuliano Amato per il finanziamento ai partiti e Francesco Giavazzi per gli aiuti alle imprese. Niente da fare anche per la riorganizzazione della macchina periferica dello Stato: si è fatto un gran chiasso per la riduzione delle province abolite per decreto (ottobre 2011) ma era evidente fin da subito che senza un ddl costituzionale approvato per tempo e non sul finire della legislatura non si sarebbe concretizzato niente.

L’UNICO


vero risultato dell’esperienza Monti, che infatti il premier e quelli che gli vogliono bene vantano in ogni occasione, è la riconquistata «considerazione internazionale dell’Italia». Tradotto: con Berlusconi ci ridevano dietro, adesso no. Vero: c’è da chiedersi se con un altro al posto di Monti (Bersani, Alfano, Casini o qualcun altro) sarebbe la stessa cosa. Infine lo spread. In un anno è calato da oltre 500 a circa 300, come è accaduto anche in Spagna e Grecia. La spiegazione l’ha data due giorni fa l’Abi, l’associazinoe delle banche italiane: «L’allentamento delle tensioni è avvenuto grazie all’azione della BCE e al risanamento in atto nei paesi della periferia europea».