Barbara Manicardi
MODENA
SOFFIA

forte il vento della rottamazione, un vento che a Modena, città vetrina dell’establishment del Pd, ha travolto l’intero partito, azzerato i vertici e dato il via a una guerra intestina che si combatteva in silenzio da un paio d’anni. Le primarie per scegliere i parlamentari si sono trasformate in un clamoroso (e unico, nella rossa Emilia) caso politico che sta facendo a pezzi il partitone, a partire proprio dalla dirigenza che da ieri è orfana del segretario provinciale. Davide Baruffi infatti, alla guida dei Democratici, ha presentato le sue dimissioni dopo essere uscito sconfitto dalla primarie (non è nella rosa dei quattro candidati per il Parlamento) e aver totalizzato lo stesso numero di voti della giovane e sconosciuta Giuditta Pini, che a soli 28 anni volerà a Roma.

IL POPOLO

del Pd modenese ha parlato chiaro: vuole facce nuove, vuole tagliare i ponti con la vecchia politica e con gli antichi ‘schemi’. Non solo: nella roccaforte bersaniana, ad aver fatto il pieno di preferenze, piazzandosi quindi al primo posto assoluto con notevole distacco da tutti gli altri, è stato il renziano Matteo Richetti, segnale, anche questo, abbastanza chiaro: c’è voglia (anzi, pretesa) di cambiamento. E c’è anche la volontà di premiare la competenza, il rigore: si spiega anche così l’exploit di Maria Ceciclia Guerra, docente universitaria di Economia ed ex sottosegretario al Welfare del governo Monti. Il quarto modenese a correre è l’assessore provinciale Stefano Vaccari, giovane anche lui, preparato e poco roboante: stile asciutto, concreto e molto attivo nelle aree terremotate della Bassa. Tanto lavoro, poche chiacchiere. Bocciate invece su tutta la linea le due ex parlamentari Mariangela Bastico e Manuela Ghizzoni, quasi come a voler tagliare i ponti con il passato. E soprattutto bocciato il partito, nella figura del segretario Davide Baruffi, che non è stato capace di resistere alla tentazione di scendere in campo a soli due anni e mezzo dalla investitura da parte dell’attuale segretario regionale Stefano Bonaccini, di cui Baruffi era il braccio destro. Ed ora? Ora sono guai seri. Perché il Pd, alla vigilia delle elezioni politiche e a un anno da quelle amministrative, non ha una guida e i suoi vertici sono spaccati in tante fazioni che stanno già affilando le armi. «La mia mancata elezione — ha detto Baruffi —, che costituisce un esito non traumatico, non deve tuttavia costituire un elemento di divisione, per questo mi dimetto. Ora si determina un problema di gestione del partito che non può essere accantonato».