Elena G. Polidori
ROMA
DESISTENZA,

si o no? Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e firmatario del manifesto fondativo di ‘Rivoluzione Civile’ di Antonio Ingroia, ieri ha gettato lo scompiglio dentro il Pd. «Dario Franceschini — ha detto — mi ha contattato questa mattina a nome del Pd e mi ha proposto un accordo di desistenza, cioè mi ha chiesto di non presentare le nostre liste in regioni chiave quali la Sicilia, la Campania e la Lombardia. Credo siano molto preoccupati per la continua crescita della nostra lista». Nel quartier generale dei democratici è scoppiato l’inferno. Prima è intervenuto il vicesegretario, Enrico Letta, smentendo la trattativa, poi di nuovo Franceschini. Che ha dovuto puntualizzare: «Non c’è nessuna possibilità di accordo — ha spiegato — ho fatto una semplice constatazione aritmetica più che politica: per come è fatta la legge elettorale al Senato, nelle regioni in bilico, la presenza della ‘Lista Ingroia’ rischia di far vincere la destra, rendendo il Senato ingovernabile». Soprattutto, nessuna ambiguità di rapporto tra il Pd e Ingroia perché — ci ha tenuto a sottolineare Letta — da parte del Pd non sono mai venuti attacchi scomposti alla Corte Costituzionale o al Quirinale, che invece hanno caratterizzato l’azione del pm di Palermo: la distanza rimane abissale».
Più fatalista Nichi Vendola. Che consapevole dei rischi che corre l’alleanza nelle regioni chiave con Ingroia in campo, ha rimandato la decisione al segretario: «Su questa alleanza o desistenza deciderà Bersani». Che ieri, in una lunga intervista al
Washington Post, ha risposto a domande pesanti: «Se fosse necessario per garantire in Italia un governo stabile, cosa offrirebbe a Monti? Il bis? O il Quirinale?». La risposta del segretario Pd è stata netta: «Noi siamo pronti a collaborare. Non a uno scambio di favori, ma a stringere un patto per le riforme e la ricostruzione del Paese».

BERSANI

ha anche lanciato un messaggio rassicurante al mondo della finanza: «I mercati non hanno nulla da temere, purchè accettino le fine dei monopoli e delle posizioni dominanti». Quindi, sul perché il Pd stia a guardare lo scontro elettorale Monti-Berlusconi, Bersani ha tenuto il punto: «Abbiamo mantenuto la nostra promessa di sostenere Monti fino alla fine, sebbene non fosse facile. Così, ora noi stiamo a guardare». Bersani non ha nessuna fretta neppure di definire un eventuale confronto televisivo che pure è intenzionato a fare. Prima, hanno ricordato ieri i suoi, bisognerà vedere quante saranno davvero le liste in corsa e chi i veri candidati premier, probabilmente non più di 5 o 6. E quasi certamente non Berlusconi: «Si è mai visto un dibattito tra un candidato premier e un aspirante ministro dello Sviluppo economico?». In serata arriva anche una stoccata da Oscar Giannino: «Bersani mi ha offerto un seggio per canidarmi con il Pd»