Siena, 27 gennaio 2013 - E’ SABATO ma negli uffici della Procura di Siena le luci restano accese sino a notte fonda. «Sono giorni intensi», si lascia scappare uno degli inquirenti. Un gesto di cortesia, prima di ritirarsi nel riserbo. Un silenzio più che religioso. È così dal maggio scorso, quando 150 finanzieri si presentarono a Rocca Salimbeni per un maxi blitz che portò al sequestro di una montagna di carte, file elettronici, hard disk e documenti. Non una parola. I sostituti procuratori che coordinano le indagini (Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso) sono giovani e fedeli al motto «parlano gli atti». E così vanno avanti.

IERI AVREBBERO richiesto la registrazione integrale, circa sette ore, dell’Assemblea straordinaria dei soci di Banca Mps, tenutasi venerdì. Gli inquirenti che indagano sull’acquisizione di Antonveneta vogliono verificare se dagli interventi dei soci possano essere uscite notizie interessanti per l’inchiesta. E, non è escluso, che qualcuno di coloro che sono impegnati dal 9 maggio scorso sulle carte sequestrate a Rocca Salimbeni abbia seguito da vicino i lavori dell’assemblea.

Certo è che prosegue l’esame dei documenti. Tutto materiale ritenuto «particolarmente interessante». Documenti, appunti e grafici che gli investigatori della polizia valutaria della Guardia di Finanza hanno passato al setaccio per ricostruire ogni passaggio dell’operazione Antonveneta. Un’acquisizione andata in porto nel 2007 e su cui i magistrati ipotizzano che ci possano essere stati i reati di «aggiotaggio, manipolazione del mercato sul titolo azionario di Banca Monte dei Paschi e ostacolo alle attività di vigilanza». «Un’indagine a 360 gradi in cui non si esclude che il Monte possa essere stato danneggiato», spiegò, a suo tempo, il colonnello provinciale delle Fiamme Gialle, Gianpaolo Mazza.

QUELLO che pesa dell’operazione Antonveneta lo spiegò Tommaso Di Tanno, ex presidente del collegio sindacale del Monte, indagato per questa vicenda — insieme all’ex direttore generale Mps Antonio Vigni, agli ex sindaci revisori Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti — sin dal maggio scorso. «Il valore patrimoniale della Banca Antonveneta — affermò rispondendo ai piccoli azionisti nel corso dell’assemblea dei soci nell’aprile 2012 — era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi. Non entro nel merito se il prezzo pagato a Santander fosse appropriato». I piccoli azionisti non rimasero molto soddisfatti. Ora, però, una risposta più precisa potrebbe arrivare dai magistrati.

IN PARTICOLARE gli inquirenti, attraverso rogatorie internazionali stanno cercando di verificare l’ipotesi di «una ‘truffa’, estero su estero, che vale circa tra 1,5 e 2 miliardi di euro». Soldi che, sarebbero serviti, secondo il racconto di alcuni ex bancari, ad agevolare la cessione di Antonveneta.
Pista che porterebbe in Inghilterra. E precisamente a Londra, alla ricerca degli intermediari dell’operazione. Si allargherebbero quindi i contorni di un’inchiesta che ha già scosso profondamente la città del Palio.

di Tommaso Strambi