Alessandro Farruggia
ROMA
«SI VA VERSO

la normalità, ma attenzione, quella resta una zona ad alto rischio». Il giorno dopo l’emergenza terremoto in Garfagnana, il Capo della Protezione Civile nazionale Franco Gabrielli mette i paletti: nessun allarmismo prima, nessuna sottovalutazione adesso.
Prefetto Gabrielli, è stato giusto avvertire la popolazione di un rischio sismico potenziale?

«È stato giusto. Le cose devono essere conosciute. E l’impostazione che ho dato al Dipartimento è stata quella di essere quanto più trasparenti possibile. Certo, tutto può essere migliorato. Con il senno del poi, nell’incontro con gli enti locali ho proposto a quel territorio di creare una sorta di laboratorio per cercare di affinare le modalità della comunicazione del rischio».
Lei, come i sindaci, dice che l’allarme è stato giusto. Se è così, c’è però un problema relativo ai tempi. La comunicazione dell’Ingv è delle 6.45, ma il fax in Prefettura è arrivato solo alle 19.32. Se c’era un pericolo potenziale, non si è perso troppo tempo?

«No, perché noi non l’abbiamo mai vissuto come un allarme. E infatti l’Ingv l’ha classificato per ben due volte come ‘non previsione’. Nel nostro sistema di protezione civile il rischio sismico non ha procedura di allertamento. E non esiste perché l’assioma è che i terremoti non si possono prevedere. E quindi, il discorso della tempistica di comunicazione è dal nostro punto di vista un tema secondario, perché per noi la condizione di pericolo di quel territorio è in sé».
Ma molti cittadini hanno vissuto l’allarme con un invito all’evacuazione.

«Il che assolutamente non era e non poteva essere, non potendosi prevedere i terremoti».
L’Ingv dice che la situazione sta evolvendo in modo favorevole. Pericolo passato?
«Relativamente a questa vicenda sismica, non al carattere e alla natura altamente sismica di territorio. E quindi resta la necessità assoluta di fare prevenzione».
Relativamente alla prevenzione c’è il problema di chi, almeno una ottantina di persone solo a Castelnuovo Garfagnaga, vive in case vetuste. Li rimandiamno a casa come se nulla fosse?

«Certo che no. Bisogna fare uno sforzo di verifica delle situazioni di maggiore vulnerabilità».
Lei non ama le polemiche, ma ha detto che quanto successo è un frutto avvelenato di ciò che è accaduto all’Aquila...
«È così. Ravvedo le scorie, peraltro comprensibili e direi inevitabili, di quella che è stata la vicenda aquilana. Nel caso dell’Ingv, la preoccupazione che ogni informazione possa essere utilizzata come una sottovalutazione fa sì che se si deve dire A si dice A +. Si mettono le mani avanti».