Iacopo Scaramuzzi
Città del Vaticano
L’ESITO

finale potrebbe essere un ritorno al passato. Se alla fine la scelta del Papa per il prossimo presidente dello Ior cadesse sul belga Bernard De Corte, come ieri diverse indiscrezioni di stampa accreditavano, il Vaticano rispolvererebbe i tempi del mitologico Bernardino Nogara, banchiere chiamato da Pio XI, dopo i Patti lateranensi del 1929, a dar forma alle finanze del neonato Stato pontificio. Nogara rimase in sella 25 anni e costruì un impero finanziario, diversificando gli investimenti in mezzo mondo, dagli edifici della Roma del boom edilizio agli immobili di alcune capitali europee alle partecipazioni nella rampante industria statunitense dopo la crisi del ’29. Più che un banchiere classico, un tessitore di relazioni transnazionali e un abile investitore. E Bernard De Corte, il ‘papabile’ alla presidenza dello Ior, è un po’ della stessa pasta. Ha lavorato in diverse società d’investimento private tra il Belgio e il resto del mondo. È stato in Copeba, società con un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro, alla Wereldhave Belgium SA, si è occupato di immobili, in Brederode è stato a capo del business dell’acqua e dell’energia. Un esperto di questioni finanziarie che potrebbe guidare l’istituto tra i perigli della crisi economica globale. Affrontare con perizia le controversie, ricorrenti in questi anni, con la Banca d’Italia e la procura di Roma. E proiettare lo Ior, come aveva fatto Bernardino Nogara, sullo scenario internazionale più che nelle pastoie italiane.

IL CONDIZIONALE

, però, è d’obbligo. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, non ha confermato la sua nomina, che invece era circolata non solo in alcuni giornali ieri mattina ma anche rilanciata da alcune agenzie di stampa verso le 13 di ieri, di fatto dando vita a un vero e proprio giallo. «Non mi risulta, non confermo», ha detto. «Confermo che la decisione è imminente, ma non è una gara al primo che indovina». Una riunione decisiva dovrebbe tenersi domani. Dietro la prudenza del gesuita, la complessa partita curiale che le dimissioni del Papa hanno accelerato.
Già nei mesi scorsi il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si era scontrato con il cardinale Attilio Nicora, capo dell’authority finanziaria del Vaticano, sull’adeguamento dello Stato pontificio agli standard internazionali sull’anti-riciclaggio. Controverso anche il licenziamento, il 24 maggio, del presidente Ior Ettore Gotti Tedeschi, casella rimasta scoperta da allora. A decidere il siluramento furono i banchieri del ‘consiglio di sorveglianza’ dello Ior, il board laico che guida operativamente l’Istituto per le Opere di Religione, ma Bertone avallò quella decisione. Troncando così i rapporti con un banchiere, Gotti Tedeschi, che lui stesso aveva promosso. Adesso, mentre si avvicina l’addio di Ratzinger il 28 febbraio, scade anche — il 24 febbraio — il mandato quinquennale dei cinque cardinali che presiedono lo Ior: oltre a Bertone e Nicora, Odilo Scherer, Toppo e Tauran.

I RUMORS


di palazzo raccontano che Bertone vorrebbe sostituire Tauran e Nicora — i più ribelli — con altri due porporati, Sandri e Calcagno. Ovviamente Tauran e Nicora, legati alla vecchia guardia woytiliana non sono molto favorevoli. E non è affatto scontato che le cose vadano così. Intanto Bertone si è mosso per cambiare pelle al board dei banchieri. Fuori Gotti Tedeschi, andrebbe via anche il tedesco Hermann Schmitz, ex ad di Deutsche Bank (la banca che gestiva, fino al blocco di Bankitalia, i bancomat del Vaticano) e, sinora, presidente ‘ad interim’ dello Ior. Rimangono il potente Carl Anderson (Usa) e lo spagnolo Manuel Soto Serrano (banco Santander). New entry, un altro tedesco, Ernest von Freyber, e, appunto, il belga Bernard De Corte. Che, però, prima di occupare la poltrona che fu Paul Marcinkus, il controverso monsignore del crac del Banco Ambrosiano, deve attendere che la Curia romana trovi, tra molti contrasti, la quadratura del cerchio.