Marinella Rossi
MILANO
IMMODESTO

definirla stanza, meglio dire suite superior da 200 metri quadrati, dentro il reparto Diamante, solventi ovviamente, del San Raffaele. È là, sala riunioni, cucina, idromassaggio e vasca ovale su cui è sagomato il bagno, che Silvio Berlusconi cura la sua «uveite bilaterale»: infiammazione agli occhi che la Corte d’appello di Milano sabato non ha ritenuto fosse un «impedimento assoluto a comparire» al processo d’appello per frode fiscale Mediaset, e non ha accolto il blocco del dibattimento.

MA NON

solo la super-congiuntivite assilla il Cavaliere: il medico personale, Alberto Zangrillo, comunica in un bollettino di metà domenica che il paziente è anche «sotto stretto monitoraggio cardiovascolare», e che «si è verificata l’alterazione dell’equilibrio emodinamico, che porta a dei picchi di ipertensione arteriosa». Motivo per cui si è deciso di «porlo sotto stretta osservazione cardiologica», affiancata da somministrazione di farmaci ipertensivi. Ciò fino a oggi, quando, salvo complicazioni, Berlusconi dovrebbe essere dimesso.
Monitorato a vista dai clinici, il Cav a sua volta non perde d’occhio il suo popolo, che ancora ieri, tra ordini e contrordini, minacciava una marcia sul palazzo di giustizia di Milano, fonte dei suoi molti problemi. L’ultima parola è: niente marcia. Ma, in compenso uno stato d’allerta costante rispetto a ciò che viene definita «una persecuzione», il cui fumo si alzerebbe «da diciannove anni» dal palazzaccio milanese. Torna così il mai sopito sospetto — e a dispetto delle altre Procure che hanno avviato inchieste a suo carico — che Milano sia sede ostile, e magari a fornire un’ennesima contromossa degli avvocati volta a bloccare, con una ‘rimessione’ dei processi ad altra sede, i due dibattimenti.

OGGI


sarebbe poi il giorno della requisitoria con le richieste di pena del procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che parlerà della prostituzione minorile di Ruby e della concussione sulla questura di Milano per nascondere l’andazzo delle cene di Arcore. Requisitoria slittata venerdì scorso, perché i giudici della quarta penale hanno accolto, senza visita fiscale, l’impedimento dell’«uveite». A differenza dei colleghi della Corte d’appello del processo Mediaset, che sabato hanno invece affidato a medici fiscali la questione, ricevendo un responso di «non assolutezzza dell’impedimento». Mediaset è il vero nodo dolente, lo spettro più vicino: se confermati in appello (e in Cassazione) i 4 anni di pena e i 5 di interdizione dai pubblici uffici, l’ex premier passerebbe sotto le forche caudine del voto della giunta sulla sua decadenza da parlamentare, anche in virtù del recente decreto legislativo che impedisce la candidabilità di condannati definitivi a pene superiori a 2 anni per delitti di maggior allarme e contro la pubblica amministrazione.