dall’inviato


Giampaolo Pioli
NEW YORK
NON SOLO

preghiere, ma subito anche lacrime, applausi e denunce. Papa Francesco piace al mondo per la sua semplicità e modestia, ma divide l’Argentina. Barack Obama esprime ammirazione per la grande attenzione ai poveri e ai temi sociali che il nuovo pontefice sta dimostrando. Ma è in un’Argentina emozionata e spaccata, con una presidentessa filo-socialista come Cristina Kirchner, dove la nomina Bergoglio alla guida della chiesa cattolica sta riaprendo vecchie ferite e pagine buie della storia nazionale e dell’intera America Latina.

È IL GRIDO

di protesta di chi in quegli anni terribili ha perso i propri cari a risuonare, in queste ore, più forte dei cori di giubilo per le strade e nelle cattedrali di Buenos Aires.
«Non abbiamo mai sentito da lui una parola sui nostri nipoti, né sui desaparecidos», dice Estela Carlotto, a capo delle nonne di Plaza Mayo. Guarda con disincanto alla limpidezza di Papa Francesco al tempo della dittatura e chiede al neoeletto di non dimenticare il suo Paese «come fece con noi». Un’analisi fedda e senza sconti: «Non venne in nostro aiuto, né a offrire l’appoggio della Chiesa, che come cattolici aspettavamo che ci arrivasse».
Se sul passato non pare avere dubbi, per Estela il futuro è ancora da scrivere: «L’importante è sapere che vuole lottare per la pace, la convivenza e l’amore per il prossimo».
Ma, inevitabilmente tornano alla mente quegli anni Settanta e Ottanta, quando la Casa Bianca strizzava l’occhio o addirittura ispirava e appoggiava i dittatori sudamericani e traeva vantaggi da una Chiesa silenziosa, inerte se non schierata coi regimi. Allora Papa Francesco non era né cardinale né vescovo, ma il sacerdote leader della ‘Society of Jesus’, la più alta autorità dei gesuiti nel paese. Nel 2005 un avvocato e attivista dei diritti civili, Myriam Bregman, macchia il suo nome con un atto giudiziario nel quale lo accusa non solo di non avere impedito, ma addirittura favorito la cattura e la tortura di due preti gesuiti, considerati «pericolosi marxisti» e ai quali il neo Papa avrebbe, secondo lui, ordinato di lasciare nel 1976 la loro azione pastorale, esponendoli di fatto alla mercè del regime che li stava cercando.
Francisco Jalics e Orlando Yorio, che predicavano nei barrio popolari, scomparvero per oltre quattro mesi, vennero torturati e incarcerati, ma non morirono in quella che è stata definita ‘operazione Condor’ e che portò all’eliminazione e alla scomparsa di oltre 22mila persone in tutto il paese. Yorio sostenne in aula che Bergoglio aveva di fatto consegnato lui e Jalics agli ‘squadroni della morte’, ma non disse che era stato proprio Bergoglio ad autorizzare il loro apostolato tra i poveri dell’Argentina. Il neo Papa, allora cardinale, per due volte invocando il diritto costituzionale si rifiutò di deporre davanti alla corte, mentre nel 2010 «diede solo risposte vaghe». Chi difende con passione l’operato del pontefice è il suo biografo Sergio Rubin che racconta in un libro come dopo il rapimento dei due gesuiti, Bergoglio lavorò accanitamente dietro le quinte per ottenere dai militari la loro liberazione «e in quei tempi equivaleva ad avergli salvato la vita…».