Andrea Cangini
ROMA
BERSANI

è stato abile, nel Pd lo ammettono tutti, ma non per questo gli sarà più facile costituire un governo. Anzi. Con Napolitano che ha impedito all’ambizioso Monti di candidarsi a presidente del Senato e Monti che ha vietato a Bersani di far eleggere presidente della Camera un montiano, alle 4 di ieri mattina il segretario del Pd era un leader finito. Isolato. Senza prospettive politiche. E alla guida di un partito pronto a spaccarsi. «Non possiamo votare Finocchiaro e Franceschini, occorre rinnovarsi», gli ha detto a nome dei ‘giovani turchi’, che pure lo sostengono, Matteo Orfini. Bersani ha annuito, Vendola ha rilanciato: era quasi l’alba quando hanno preso forma le candidature della vendoliana Boldrini alla Camera e dell’«indipendente» del Pd Grasso al Senato. Risultato, il partito non si è spaccato e i grillini del Senato hanno dimostrato la loro permeabilità.
Tutti contenti, dunque, nel Pd. Tutti a dire che «Bersani ha segnato un punto»: non accadeva dal giorno dopo le primarie. Il cattolico Fioroni: «Bersani ha sparigliato i giochi e presentando volti nuovi e credibili ha tolto argomenti sia a Grillo sia a Renzi». Il dalemiano Sposetti: «Era una scelta obbligata, perché il partito non avrebbe retto ad altre ipotesi, ma Bersani è stato bravo».

PERSINO


Matteo Renzi twitta il suo entusiasmo. Epperò, D’Alema, Veltroni, Renzi, Letta e i rispettivi seguaci continuano a pensare che il tentativo di Bersani di mettere in piedi un governo fallirà e il desiderio di elezioni dei bersaniani potrebbe non avverarsi. Delrio, renziano: «Bersani ha fatto finalmente un gesto di apertura, ma resta irrealistico che possa formare un governo». Tonini, veltronian-renziano: «Bersani ha saputo parlare al Paese, ma la strada per formare un governo resta in salita». Si parte da un dato: al netto del risultato politico, dal punto di vista aritmetico la giornata di ieri dimostra che Pd e Sel non sono in grado di allargarsi ad altri partiti. Perciò, dice un uomo che col Quirinale ha un filo diretto, «come Napolitano ha detto di no a Monti, dirà di no a Bersani: se dalle consultazioni non emergerà una maggioranza chiara, Bersani non riceverà un incarico pieno». Per evitare tensioni nel partito durante le consultazioni, il segretario del Pd conta di prorogare l’incarico degli attuali capigruppo; per ottenere una maggioranza al Senato intende offrire a Monti il Quirinale e far leva sul timore della Lega per le elezioni. Ma è un doppio azzardo. I non bersaniani confidano infatti che Napolitano farà di tutto per mettere in piedi un governo di scopo che almeno modifichi la legge elettorale. E seppure Bersani e i suoi sono proiettati sulle elezioni, Sposetti osserva che «il giorno in cui ci sarà un nuovo presidente della Repubblica che potrà sciogliere le camere molti si riconcilieranno con l’iinteresse nazionale». Concetto che un non bersaniano traduce così: «Per motivi nobili e meno nobili, la maggioranza dei nostri parlamentari non vuole andare a votare». Certo è che da ieri nel Pd si comincia a guardare al neopresidente del Senato Pietro Grasso con occhi diversi: «Ha fatto un discorso da Capo dello Stato o da premier incaricato», il commento più diffuso. E non è un modo di dire.