Andrea Cangini

ROMA, 23 marzo 2013 - ROBERTO Giachetti, che è un laico, ritiene che «servirebbe un miracolo». Matteo Renzi confida che il tentativo di Bersani «è un’inutile perdita di tempo» e ammette che «è difficile dar torto a Berlusconi quando dice ‘Bersani deve parlare con noi’». Persino tra i bersaniani le probabilità di successo vengono calcolate al «20-25%». Su una cosa, però, concordano tutti: Bersani si sta giocando la partita della vita e le proverà tutte per vincerla. Se non riuscirà a trovare una maggioranza «certa» al Senato, al capo dello Stato ha chiesto di essere lui a fare il nome del prossimo presidente incaricato: un modo per contenere i danni politici della sconfitta.

INCONTRARE anche le parti sociali gli servirà dunque per drammatizzare il momento, rendendo evidente l’urgenza di un governo. Dopo di che, bisognerà trattare con tutti e a ciascuno concedere qualcosa. Per Matteo Orfini, leader dei giovani turchi, «i montiani ci staranno e sulla Lega stiamo lavorando. Se i grillini si prestano a un escamotage parlamentare, al Senato otterremo la fiducia e poi procederemo a geometrie variabili». Orfini dice che «col Pdl non ci sono margini», ma non è così. A Maroni, Bersani ha chiesto di sostenerlo e di portarsi dietro «almeno una parte del Pdl». Maroni — che teme le elezioni, vuole incassare il Senato delle autonomie e cerca un dialogo filonordista col Pd — non ha respinto l’appello. Ma gli ha chiesto un governo senza giovani turchi («nessun problema», replica Orfini) né specchietti per allodole grilline. La verità è che la disponibilità della Lega passa per un accordo informale tra Bersani e Berlusconi di cui una Convenzione per le riforme istituzionali è solo la punta dell’iceberg. A illuminarne la base è un senatore dalemiano: «A Berlusconi garantiremo l’elezione di un capo dello Stato a lui gradito: può essere lo stesso Napolitano, Amato o un altro». E come la metterete con l’annunciata legge sul conflitto di interessi? La risposta è in puro stile dalemiano: «Abbiamo passato gli ultimi vent’anni a denunciare le leggi ad personam di Berlusconi e ora vogliamo farne una su misura per fotterlo? Al massimo gli verrà preclusa la rielezione a palazzo Chigi... tanto non ci punta più». Su queste basi, qualche margine di successo per Bersani esiste. Anche perché l’istinto di sopravvivenza suggerisce ai capicorrente del Pd di non remare contro il segretario. Non finché Napolitano non avrà fischiato il fine partita.

A quel punto, se Bersani avrà fallito sarà politicamente morto e il Pd andrà incontro a tensioni certe. Il capo dello Stato proporrà un «suo governo» aperto al Pdl e se non ci saranno i grillini la sinistra interna farà il possibile per boicottarlo. Così come dalemiani, veltroniani, lettiani, franceschiniani e renziani faranno di tutto per evitare il ricorso immediato alle urne. Graziano Delrio, renziano: «Se il presidente della Repubblica proponesse un governo istituzionale che faccia delle cose anche col Pdl non mi vergognerei». C’è un problema: Renzi si rende conto che più il tempo passa più il suo carisma rischia di svaporare. Per lui, spiegano, «le elezioni a giugno sarebbero troppo presto, ma nel 2014 potrebbe essere troppo tardi. L’ideale sarebbe in autunno». Su una cosa, comunque, sono tutti d’accordo, il Pd deve cambiare. «Superata questa fase, servirà un congresso per sancire la fine di un ciclo politico», dice Orfini. «Servirà una rifondazione per far fuori i burocrati e far emergere gli amministratori locali a contatto con i cittadini», dice il renziano Reggi. Scorrerà il sangue, insomma.