ROMA
OBBEDISCO
. Al Colle che gli chiedeva di esercitare responsabilità, il ministro della Difesa Giapaolo Di Paola, ammiraglio dalla carriera stellare ma prima ancora uomo delle istituzioni, ha risposto senza mezze misure né incertezze. «Mai come nelle vicenda dei due marò — ha detto intervenendo a Montecitorio subito dopo le dimissioni di Terzi — il conflitto tra emozioni personali e responsabilità istituzionale è stato così forte, ma alla fine ha prevalso la responsabilità nei confronti delle istituzioni e del Governo di cui ho condiviso le scelte».

CHE TERZI

potesse giungere alle dimissioni, Di Paola non lo immaginava. Anche se in una riunione pochi minuti prima dell’intervento in aula il ministro degli Esteri aveva ribadito per filo e per segno le sue perplessità, pur evitando accuratamente di avvertire che ne avrebbe tratto le conclusioni. Anche per lui è stato quindi un fulmine a ciel sereno; anche per lui, come per Monti, è stato un tradimento. Un tradimento che gli ha fatto mettere da parte l’intervento originariamente scritto per fornirne una versione asciugata ed essenziale come un ‘presentat’arm’.
«Le valutazioni espresse dal ministro Terzi — ha detto subito nel suo intervento — non sono quelle del Governo». E, irritato specialmente per quel riferimento all’onore delle Forze Armate che ha trovato manicheo e strumentale, ha affondato la sciabola.
«Le decisioni collegiali del governo — ha proseguito — si rispettano e si onorano. Sono stato io a comunicare a Latorre e Girone la decisione, rispetto a una scelta di governo che ho condiviso. Era un mio dovere istituzionale. Sono stato io a guardarli negli occhi e a comunicare loro quel che loro hanno poi fatto». Il seguito è nelle cose. «Io — ha detto Di Paola — non abbandonerò la nave in difficoltà con Massimiliano e Salvatore a bordo fino all’ultimo giorno di governo». La decisione di Di Paola era tutt’altro che scontata. Anzi, c’erano nel mondo militare aspettative di segno contrario. Ma chi sperava nelle sue dimissioni, in un appello agli affetti, non lo conosceva bene.

«IL GIUDIZIO



sulla mia coscienza — ha argomentato il ministro della Difesa — è sofferto ma limpido. Sarebbe stato facile per me annunciare le dimissioni. Sarebbe stato facile, no cost. Anzi, sarebbe stato qualcosa che molti nel mondo militare si sarebbero aspettati. Sarebbe stato facile, ripeto, ma non lo farò perchè verrei meno al senso del dovere verso le istituzioni». A far propendere Di Paola per non abbandonare il suo posto anche la consapevolezza che se se ne fosse andato anche gli alti vertici militari — in particolare i capi di stato maggiore della Difesa e della Marina Militare — avrebbero seguito il suo esempio. Una preoccupazione che Giorgio Napolitano aveva ben presente e che ha orientato il suo invito a Di Paola a far prevalere il senso di responsabilità verso le istituzioni rispetto al bel gesto.

QUELLO

che serve adesso per gestire la crisi, sottolinea Di Paola, è l’unità, non le divisioni. E’ un approccio molto militare e non a caso il ministro ha citato l’appello ai politici lanciato dai due marò. «Ci deve essere di esempio l’appello che da ieri ci hanno inviato dall’India i due fucilieri, un comportamento di cui dobbiamo essere fieri e orgogliosi». Come dire, meno divisioni e piu senso dello Stato.
Alessandro Farruggia