ROMA
ENRICO
Giovannini, Giovanni Pitruzzella, Salvatore Rossi, Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico e il ministro Enzo Moavero Milanesi. Sono questi i componenti del gruppo di saggi «economici» voluto dal presidente Napolitano. Diverse le reazioni alle nomine anche se il rammarico per l’assenza di una figura femminile attraversa tutti gli schieramenti. «Quindi, in Italia non esistono donne sagge», ha commentato Alessandra Mussolini del Pdl. Ma come lei hanno espresso sconcerto Susanna Camusso della Cgil, Valeria Fedeli del Pd e Alessandra Servidori, consigliera nazionale per le Pari opportunità.
«Sono onorato sul piano personale ma anche per l’istituto che ho l’onore di rappresentare», ha detto il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini. «Martedì ci insedieremo e — ha aggiunto — ascolteremo il mandato sia in termini di contenuti che di tempistica. E’ una grande responsabilità che ci sentiamo sulle spalle». «La difficoltà del momento farà accendere i riflettori sui lavori di questa commissione».
Per i sei «negoziatori» dell’economia e del welfare il compito è complesso e per nulla semplice: il sistema paese è in profonda difficoltà, la disoccupazione sfiora il 12 per cento e pare destinata a salire ancora, la pressione fiscale è addirittura vicina al 70% per le imprese. Le aziende vantano crediti per 90 miliardi nei confronti della pubblica amministrazione e il peso dei mancati pagamenti rischia di asfissiare un sistema industriale che è secondo in Europa solo a quello della Germania.
In una situazione tanto difficile è esploso il rischio povertà delle famiglie, che hanno tagliato i consumi ma non riescono comunque a risparmiare.
I sei saggi economico-sociali dovranno dunque elaborare progetti
di rilancio, proposte di riforma del sistema fiscale, della pubblica amministrazione, quasi certamente dovranno affrontare le problematiche delle dismissioni e della cessione di parte del patrimonio pubblico, di immobili e società, per alleggerire il debito di uno stato che paga poco meno di 100 miliardi l’anno di interessi sui titoli di Stato. Togliendo così la disponibilità di risorse per gli investimenti e il sostegno del welfare.