Alessandro Farruggia
ROMA
LA CAVALCATA

dell’eolico è stata dopata da incentivi generosi e da scarsi o nulli controlli di legalità sulle aziende aggiudicatrici. E il risultato è che le mani della criminalità mafiosa ed economica ne hanno approfittato. Sia chiaro, le pale non sono giocattoli. I numeri dell’eolico sono importanti. Secondo il rapporto 2012 di Gse/Legambiente oltre 5,2 milioni di famiglie italiane nel 2012 hanno soddisfatto il proprio fabbisogno di energia elettrica grazie al vento, con una produzione pari al 4,6% dell’energia totale prodotta in Italia. E sul fronte dell’occupazione - secondo l’Anev (Associazione nazionale energia del vento) - il settore eolico offre lavoro a circa 40.000 addetti, con una crescita media di 5.000 posti all’anno. Notevoli anche i vantaggi in termini di anidride carbonica risparmiata: 7,8 milioni di tonnellate all’anno. Ma i furbetti delle pale le hanno rese un po’ meno verdi.

«LA PRIMA

fase degli incentivi alle rinnovabili — osserva il ministro dell’Ambiente Corrado Clini — ha determinato vantaggi finanziari e speculativi molto alti. Rendimenti del 15-20%, persino del 25% del capitale investito per qualcosa come venti anni. Una vera pacchia. E chi aveva possibilità di investire l’ha fatto».
E tra questi c’erano le mafie?
«C’erano operatori seri, ma, ovviamente, anche le mafie. A loro i capitali non mancano certo. Hanno fiutato l’affare e ci si sono buttate».
Era la disponibilità di capitali la sola vera soglia di accesso?
«Capitali e un buon progetto, che non è troppo difficile da fare. L’alta redditività era indipendente dal merito, non era purtroppo legata all’innovazione tecnologica».
Perché la criminalità ha scelto proprio l’eolico e non il fotovoltaico?
«L’eolico è stato privilegiato da questi operatori ‘grigi’ perché da un lato gli investimenti nell’eolico producono una quantità di potenza rilevante a parità di capitale investito rispetto al fotovoltaico, e quindi genera più incentivi. E poi perché in una prima fase gli incentivi tendevano a coprire il rischio di impresa anche se, poniamo, gli impianti non erano connessi in rete».
Pare una follia garantire anche gli impianti non connessi e quindi improduttivi.
«Si ritenne, e io non ero tra questi, che bisognasse coprire gli investitori da possibili rischi come l’efficienza della rete o imprevedibilità del vento offrendo comunque una copertura del capitale investito. In più, si sono dati gli stessi incentivi a chi come, ad esempio, la Leitner di Bolzano, faceva innovazione e chi ha solo messo i soldi e ha acquistato all’estero le tecnologie. In tanti hanno scelto a strada più semplice».
Lei e Passera avete cambiato le regole e ridotto gli incentivi, e vi hanno accusato di aver buttato il bambino con l’acqua sporca. Ma con le vostre regole dal punto di vista della legalità cambia qualcosa?
«A mio avviso sì, e per una ragione molto semplice. Noi, riducendo la tariffa garantita, abbiamo riportato la redditività a margini di sana competizione. Non è più l’Eldorado, è un mercato se si vuole normale che attira solo imprenditori orientati a un approccio tecnologico, che fanno utili in primis essendo più efficienti degli altri e non solo perché hanno capitali da investire. E poi i nostri incentivi sono da un lato destinati a promuovere la produzione elettrica ma anche a valorizzare le tecnologie innovative di produzione europea. Meno speculazioni, più sana crescita industriale di un settore importante per la nostra economia. E questo alla mafia non piace: troppa fatica».