Roma, 20 aprile 2013 - Tutti contro tutti, il sospetto dilaga tra i ranghi di quel che fu il Pd. E l’ultima carta da giocare per salvare la baracca potrebbe essere un Napolitano-bis. Sempre che il presidente uscente si lasci convincere per dare una boccata di ossigeno al suo partito. Diceva in mattinata un renziano che, mediaticamente parlando, «se Prodi ce la fa sarà merito di Renzi, se non ce la fa sarà colpa di Bersani». Prodi non ce l’ha fatta, Bersani è finito. Dunque, per l’emiliana Donata Lenzi a votare contro sono stati renziani. Ma a Prodi sono mancati 101 voti del Pd e i renziani sono solo una cinquantina. Il milanese Pippo Civati non ha dubbi: «Sono stati i dalemiani». Ma i più generosi attribuiscono a D’Alema il controllo di una trentina di parlamentari, che secondo Giuseppe Caldarola sarebbero in realtà «meno della metà». I conti non tornano. Ecco allora la quadratura del cerchio: «Sono stati i renziani assieme ai dalemiani», dice un deputato vicino a Bersani. E lo ripetono in molti. Molti davvero. Obiettivo? «D’Alema ha garantito a Renzi il sostegno nella scalata al partito in cambio del via libera al Quirinale», è la risposta. «Accuse ridicole», risponde Renzi. Di sicuro è vera la prima: «Renzi sarà il candidato di tutti», assicura infatti il dalemiano Latorre. Ma questo non basta a provare il complotto. Felice Casson offre invece una variazione sul tema: dalemiani e mariniani insieme. «Chiedete a D’Alema e a Fioroni...», dice col tono di chi la sa lunga. Beppe Fioroni, mariniano, esibisce però la foto della sua scheda scattata col telefonino. C’è scritto Prodi. Ma un prodiano ricorda che il vecchio Donat-Cattin definì Marini «uno che uccide col silenziatore e di Fioroni, suo allievo, è nota la doppiezza». Per dire? «Per dire che Fioroni avrà fotografato la sua scheda ma ha fatto votare contro dai suoi».

CHE FOSSE aria di imboscate era noto. I vendoliani avevano avuto notizia di una manovra interna al Pd volta a scaricare la colpa su di loro: «In 44, tanti quanti siamo noi, voteranno ‘S. Rodotà’», dicevano. Per proteggersi dal sospetto votano dunque ‘R. Prodi’ e a scanso di equivoci avvertono il capo dei deputati del Pd Roberto Speranza. Secondo loro, ad orchestrare la manovra sarebbero stati i renziani «per far saltare il Pd». «C’è chi rimesta nel torbido», urla Vendola. Qualcuno ci vede addirittura lo zampino dei giovani turchi per favorire un ricambio generazionale. «Il problema — diceva invece Latorre a fatti non ancora conclamati — sono i dirigenti più di sinistra che non sopportano Prodi».

MOLTI insistono sulle frustrazioni individuali. Discorsi tipo: «Non penserai mica che, ad esempio, Anna Finocchiaro dopo essere stata aggredita da Renzi e non difesa da Bersani abbia votato Prodi?». C’è una logica, ma vai a sapere... A tutto ciò va aggiunta una considerazione di carattere generale svolta dal veltroniano Verini a votazioni ancora in corso: «A torto o a ragione, Prodi è percepito come sinonimo di elezioni e non vorrei che molti neoeletti gli votino contro con l’idea di garantirsi il posto in parlamento». Poco nobile, certo, ma molto, molto umano. C’è un pizzico di verità in ognuna di queste tesi. È saltato il tappo, nessuno comanda più nulla: piccole manovre politiche si sommano a grandi rancori personali. «Ma — riflette Marco Follini — quella della regia unica è un’illusione: magari ci fosse qualcuno in grado di orchestrare un complotto del genere...».