Bologna, 27 aprile 2013 - UN BUCO nero da quasi 188 milioni accumulato in dieci anni. E solo per quanto riguarda l’Italia. Se infatti si allarga lo sguardo all’Europa, la voragine è di oltre 1,7 miliardi. Più o meno la somma stanziata per le grandi opere dal 2001 a oggi nel nostro Paese, secondo Legambiente, o l’equivalente di 8.903 Ferrari 458 Italia Dct appena uscite dalla concessionaria. Una piccola parte dell’abisso, senza saperlo, la portiamo quotidianamente nelle nostre tasche. Le monete da 1, 2 e 5 centesimi di euro — quelle che secondo il Codacons nove italiani su dieci vorrebbero eliminare — costano infatti allo Stato, o meglio ai suoi contribuenti, più di quanto valgono.
Per fabbricare un centesimo ce ne vogliono 4,5. Per la moneta su cui è impressa la Mole Antonelliana ne servono 5,2. Mentre per coniare 5 centesimi ne sono necessari 5,7. Un paradosso che non ha però impedito ai governi europei di ordinare la produzione, secondo gli ultimi dati della Bce, di oltre 63,9 miliardi di esemplari negli ultimi dieci anni. Solo in Italia, la Zecca ha fuso dall’introduzione dell’euro oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo. Di due centesimi ne sono stati fabbricati più di 2,3 miliardi di pezzi, mentre per i 5 ci si è fermati a quasi 2 miliardi.

GLI SPICCIOLI che il più delle volte finiamo per perdere sono costituiti da una base di acciaio al carbonio, ricoperta di rame. Il costo di produzione, almeno in Italia, è custodito gelosamente. «Non abbiamo — ha spiegato la Zecca, dopo aver ‘riflettuto’ per 45 giorni — un prezzo unitario definito da poter condividere». In Francia, invece, è tutto alla luce del sole a partire dal 2005. Già otto anni fa la Zecca transalpina, così si scopre nella risposta a un’interrogazione posta al ministero dell’Economia dal senatore Jean Louis Masson, disponeva di un sistema in grado di quantificare le spese necessarie alla fabbricazione delle monetine rosse. Nel conteggio sono compresi «il costo del metallo, dei macchinari e tutti i costi diretti e indiretti». Su Internet è ancora disponibile e liberamente consultabile il documento originale. E così bastano pochi clic per scoprire che il prezzo delle monete da un centesimo (compreso un margine del 10% a favore del produttore) è di 4,5 e che i fabbricare due centesimi ne servano 5,2. Siccome i materiali e il procedimento per la coniazione delle monete sono gli stessi, non è difficile ipotizzare che i costi sostenuti dalla Zecca italiana e quella francese siano simili.

DAL 2002 sono stati prodotti a Roma 7,1 miliardi di monete da 1, 2 e 5 centesimi per un costo complessivo di 362 milioni di euro. Ma il valore reale (quello che gli economisti definiscono nominale) di questi pezzi era di appena 174 milioni. Questo significa che lo Stato (ovvero i contribuenti) ha bruciato 187,8 milioni di euro pur di mettere in circolazione i famigerati cent. Nel 2012 sono stati buttati 10,7 milioni di eur. Già undici anni fa, a pochi mesi dall’introduzione dell’euro, la Finlandia decise di fermare la produzione delle monete da 1 e 2 centesimi. L’Olanda ha abbandonato gli spiccioli nel 2004. Il Canada, visti gli eccessivi costi di produzione, ha deciso a gennaio di abbandonare il penny al suo destino. E Barack Obama un mese più tardi ha definito «obsoleta» la piccola moneta di zinco laminata in rame. Nel 2012 la Commissione europea è stata incaricata di stilare un’analisi costi-benefici sulle monete da 1 e 2 centesimi. A distanza di mesi tutto tace. L’unica certezza è che anche nel 2013 quasi tutta l’Europa continuerà a scavare con solerzia per allargare la voragine da 1,7 miliardi di euro.

 

di Luca Bolognini