Maristella Carbonin
«UN CAFFÈ,
grazie. E ne lascio pagato un altro». Nero, bollente e con un aroma intenso di generosità. Voilà il ‘caffè sospeso’, usanza antichissima e tutta partenopea ma che sta prendendo sempre più piede non solo in Europa, ma in tutto il mondo. E nell’era del prendi due-paghi uno, la formula inversa, pago due-prendo uno, fa notizia. Soprattutto se funziona. E funziona.
Dalla fredda Svezia a Londra, da Parigi alla Bulgaria, fino al Canada e al Brasile: si moltiplicano bar e ristoranti nei quali i clienti offrono una tazzina a chi viene dopo. Complice la crisi? Può darsi. Ma la verità è che generosità e solidarietà se ne infischiano della calcolatrice. Probabilmente ha ragione Luciano De Crescenzo: «Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sè e per uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo». Insomma, Napoli, senza saperlo, ha brevettato un’idea, una filosofia di vita, un’abitudine che fa bene alla coscienza di chi offre e alle tasche di chi riceve. In fin dei conti, il caffè che fa bene al cuore.

BASTA


dare un’occhiata alla pagina Facebook Suspended Coffees, per capire il boom di questa moda antica: 77.364 like (mi piace) nella piazza virtuale più larga del pianeta. La globalizzazione del gesto, del sentire. In Svezia, a Goteborg, dove un espresso costa 20 corone, Channa, la giovane proprietaria — ha 23 anni — di Espressobaren, segna su una lavagnetta con un gesso le tazzine lasciate pagate: una croce, un ‘caffè sospeso’. «Siamo sempre stati dell’idea che un caffè non viene rifiutato a nessuno», sorride Channa. E a Goteborg la moda napoletana ha già contagiato cinque bar. Curioso: finora le persone che hanno lasciato un espresso in regalo al prossimo, che sia un senza tetto o un manager («non saremo noi baristi a decidere chi può avere un caffè sospeso e chi no»), sono più di quelle che hanno approfittato della consumazione gratis. Tra i primi locali a condividere la tendenza partenopea quelli della catena Starbucks.
Vero e proprio caso quello della Bulgaria, raccontato in un reportage della France Press. In uno Stato in cui il salario medio si aggira sui 250 euro, un centinaio di bar e ristoranti hanno dato vita alla rete del ‘caffè sospeso’. Paese che vai, usanza che trovi: il barista, a Sofia, tiene il conto dei ‘neri pagati’ con tappi di bottiglia o pezzetti di carta.

IN FRANCIA

il logo cafè en attente occhieggia dalle vetrine di diversi bar. Al Kerlune Cafè di Brest si attaccano gli scontrini già pagati sulla vetrina, piccoli promemoria di generosità. Vai in Spagna e trovi i Cafes Pendientes. In Italia, nel 2010, è nata l’associazione ‘La rete del caffè sospeso’, che tramite il gesto solidale punta a finanziare la cultura e i documentari indipendenti.
La formula funziona ovunque, pare di capire. Solo in Cina il tentativo è non è riuscito: il Chiato Coffee, bar della biblioteca di Pudong, quartiere di Shanghai, ha provato a lanciare la moda per aiutare gli studenti più poveri o i senza tetto. Nulla da fare: solo 31 caffè sospesi. Iniziativa fallita.