Alessandro Farruggia
ROMA
UNA VOLTA

disse: «Possiedo un grande archivio, e ogni volta che parlo di questo archivio chi deve tacere, come d’incanto, inizia a tacere». E infatti. Il problema è dove sia, nella sua interezza. Nei 3500 faldoni dell’archivio di Giulio Andreotti contenuti nel caveau blindato dell’istituto Don Sturzo c’è una mole enorme di materiale. Seicento metri lineari di carte. Ma è prezioso materiale da storici, non la cassaforte dei segreti italiani.

TECNICAMENTE

due sono le sezioni principali. Quella seriale, divisa in 15 argomenti (Camera dei Deputati, Cinema, Dc, Discorsi, Divorzio, Elezioni, Europa, Fiumicino, Governi, Parlamento, Personale, Trieste, Scritti, Senato e Vaticano) e ordinata in di circa 110 ‘buste’. E quella delle cosiddette ‘Pratiche numeriche’, cioè la seconda sezione corrispondenti a pratiche numerate da 1 a 10.560 ( 2400 ‘buste’ circa). Ad ogni pratica, comunque, possono corrispondere uno o più fascicoli. Ad esempio ci sono 80 fascicoli dedicati agli Usa e 200 al Vaticano, con relativi ‘incartamenti’ riguardanti i Papi dello scorso secolo. E poi ci sono le buste dedicate ai materiali audio e video. È un vero spaccato di storia della repubblica, ma apparentemente senza materiale davvero scontante.

«NEL CORSO

dei miei incarichi peritali la magistratura — ha osservato un esperto di servizi segreti come Aldo Giannuli — ebbi occasione di visionare quel fondo. Certamente esso ha un grande valore storico, perché include una documentazione inedita e molto ricca oltre che sulla politica italiana anche sul Vaticano e su molti episodi rilevanti di politica internazionale, ma è anche evidente che esso sia stato attentamente selezionato ed ordinato, carta per carta, prima di essere ceduto allo Sturzo. E la documentazione più ‘calda’ fra quelle carte non c’è, o meglio, non c’è più». «Credere che quella fosse la terribile santabarbara che teneva con il fiato sospeso tanti potenti della repubblica (e della Curia… ) — chiosa Giannuli — sarebbe fare torto ad Andreotti la cui immagine esce molto ridimensionata da questa massa di carte imponente, ma troppo ordinaria».
Niente rivelazioni sul sequestro Moro, ad esempio. Sulle stragi. Sugli anni di piombo. Su Cosa Nostra. O sulla rete Gladio/Stay Behind. Certo, spulciando si trovano chicche come un dossier del 10 giugno 1963 del Sifar, il servizio segreto italiano. Un dossier costruito per impedire un’eventuale candidatura al papato del cardinale armeno Agagianian. O gioielli come il diario scolastico del bambino Andreotti della quarta elementare della scuola Diaz di Milano risalente al 1928 dove racconta dell’attentato al Re del 16 aprile del 1928, in cui morirono 16 persone. Ma nulla di clamoroso.

SU DOVE


siamo le carte davvero interessanti ognuno ha una sua tesi. C’è chi favoleggia che una parte di esse nel 1974 siano state fatte riparare in Vaticano, chi giura che fossero custodite in una villa sul litorale romano, chi pensa che siano state semplicemente distrutte mano a mano che non servivano più e una volta che nel 2007 l’archivio fu ceduto all’Istituto Sturzo. Ma con ogni probabilità il dubbio è destinato a durare. Dopotutto, come scrisse in uno dei suoi fulminanti aforismi: «Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce».