dall’inviato

Lorenzo Sani

Susa (Torino), 20 maggio 2013 - NELLA ‘GUERRA civile’ della Val di Susa, le imprese locali che lavorano alla Tav, sono il vaso di coccio. Ne sa qualcosa Ferdinando Lazzaro, titolare col fratello del Gruppo che si è aggiudicato a suo tempo l’appalto per la recinzione del cantiere della Maddalena a Chiomonte.
«In un anno e mezzo e abbiamo visto di tutto: ci hanno dato fuoco a mezzi meccanici, scavatori, autocarri, io sono stato minacciato, pestato, ho ricevuto proiettili per posta, mi hanno rotto un braccio, l’ultimo episodio è dell’anno scorso, ad agosto, quando ci hanno incendiato uno chalet in legno adibito ad ufficio dove abbiamo la cava a Meana di Susa. Inutile sottolineare che si tratta di denunce contro ignoti, tutto finito nel nulla», chiosa con una punta di sarcasmo. Uno stillicidio quotidiano, racconta, che non si è esaurito con la conclusione dei lavori, nell’aprile 2012. «A noi che siamo di Susa hanno riservato dose doppia, perché ci vedono come traditori. Le imprese locali sono più esposte».

Sono incominciati subito i problemi?
«Direi proprio di sì, perché per allestire il cantiere si è resa necessaria un’azione di sgombero. Gli attivisti avevano costruito una baracca nell’area che doveva essere recintata, è intervenuta la forza pubblica, ma sono stati utilizzati anche i nostri mezzi e sicuramente questo fatto ha innescato le ritorsioni. Da quel momento in poi la situazione è degenerata, assumendo sempre più i contorni di una guerra civile vera e propria. Mi creda, c’erano tanti di quei poliziotti e carabinieri a protezione dell’area che in certi momenti sembrava veramente di essere in mezzo a una guerra».

Come è iniziata tutta la storia?
«Abbiamo vinto una gara che Ltf ha bandito dalla sede francese. Non c’era la fila delle imprese per aprire un cantiere in quelle condizioni e noi avevamo disperatamente bisogno di lavoro. La nostra offerta è stata accolta e, a onor del vero, ci siamo fatti pagare molto bene».

Era consapevole dei rischi ai quali sarebbe andato incontro?
«Certamente, ma avevamo bisogno di lavorare. La verità è che qui ci sono sempre stati i violenti e non è neanche vero che non è gente della valle. Certo, ci sono le infiltrazioni degli anarchici e dei centri sociali, ma la Val di Susa storicamente ha sempre avuto focolai di gente violenta. Negli anni Settanta una delle cellule più attive della Brigate Rosse era a Bussoleno e i brigatisti erano tutti locali. C’è sempre stata gente molto pericolosa in valle, quindi non è vero che non vi siano esponenti locali violenti nel comitato No Tav, ci sono eccome!».

Riceve ancora minacce?
«Se devo essere onesto no, ho sempre i magazzini sorvegliati di notte con vigilanza specializzata, perché è il minimo dopo tutto quello che ci hanno fatto. Ma questa storia non finirà tanto facilmente, perché la strategia dello Stato e delle forze dell’ordine è sempre stata quella di lasciare decantare le cosa, di lasciare sfogare la gente che protesta, così i più violenti si sono sentiti legittimati a fare tutto quello che volevano».

Ha tratteggiato uno scenario senza ritorno...
«L’odio è molto radicato. Il successo del Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Tav, ha riacceso le speranze di poter fermare la Lione-Torino e rinvigorito la protesta. E’ un fenomeno sociale molto particolare, ha diviso famiglie, amicizie, creando una spaccatura netta tra chi è contrario, chi è a favore e chi, magari, se ne frega. E’ un movimento trasversale che ha fatto un danno nella socialità della valle che lei non può neanche immaginare e una responsabilità enorme ce l’hanno soprattutto le scuole, dove si educano i ragazzi in una certa maniera. Alle elementari, medie e naturalmente alle superiori ci sono insegnanti che al posto della lezione fanno un’ora intera di lavaggio del cervello ai ragazzi, poi questi escono e si sentono autorizzati di dare del ‘mafioso’ a mio figlio perché io lavoro al cantiere. Nelle scuole se non sei No Tav, sei fuori moda. Ci sono ragazzini che non hanno ancora compiuto 14 anni che vanno alle reti a tirare i sassi alla polizia, pensano che contestare in questo modo sia normale, perché tanto non gli succede niente. È intervenuto anche il tribunale dei minori. La situazione è scappata di mano, per la mancanza di autorità e di autorevolezza da parte dello Stato».